Cosa vuol dire? – II Domenica di Quaresima

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Nella seconda parte del vangelo di Marco, dopo il primo annunzio che Gesù fa della sua passione in Mc 8,31 e le obiezioni di Pietro e la incomprensione di “cosa significasse risuscitare dai morti”, Gesù prende con se Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte loro soli.

Nell’episodio, oltre a questi protagonisti evidenti, ce ne sono altri: alcuni sono oggetto di visione (Mosè ed Elia); un altro soggetto è mediato dalla nube che avvolge, dalla voce che si ode e da testimonianza. I personaggi come collocati su due piani, hanno tutti al centro e come raccordo Gesù e la dimensione dell’ascolto. Ci sono quelli che volevano vedere ed incontrare Dio – Mosè ed Elia – e non lo videro. E ora discutono direttamente, faccia a faccia con il suo Messia Gesù. I discepoli che vedono, sono piuttosto invitati ad ascoltare meglio.  Se si considera che in Marco non vengono raccontate le apparizioni del risorto, ma tutto si conclude con un annuncio della risurrezione presso la tomba vuota, si comprende come la trasfigurazione possa apparire cifra che anticipa il mistero pasquale. La trasfigurazione è preludio della Risurrezione, ma soprattutto una investitura (la veste bianca): Egli è già ciò che sarà (inizio del Vangelo di Gesù Cristo Figlio di Dio, Mc 1,1). Cristo, dice Marco, “cambia aspetto”: la realtà profonda della sua persona, Dio trasfigura, rivela.

Il protagonista è certamente Gesù: egli conduce i discepoli sul monte; a Gesù si rivolgono Elia e Mosè; egli è l’Amato che Dio trasfigura. I coprotagonisti su due piani  sono rispettivamente Elia e Mosè che discorrevano con Gesù del suo esodo-pasqua (Luca 9,28); sull’altro livello stanno Pietro, Giacomo e Giovanni. Il protagonista nascosto o meglio, mediato dal segno della nube e che copre con l’ombra è la presenza di Dio in mezzo al popolo secondo Esodo 19,16; 24,15; 40,34. Sul monte Gesù si trasfigurò, in un luogo appartato, loro soli, in disparte, in un luogo deserto, in solitudine. Il racconto della trasfigurazione contempera anche lo svelamento del cuore di coloro che Dio ama, come Mosè ed Elia con le loro passioni e sconfitte, le purificazioni, la graduale assimilazione al popolo e alla qualità della vita di Dio.

Il disegno dell’opera di Dio nel mondo avviene nella Scrittura e nell’interpretazione che Cristo ne da. Come lui, Mosè ed Elia, “non hanno tomba”. Uno è rapito su un carro di fuoco, l’altro nelle steppe di Moab vicino al Monte Nebo, ma nessuno sa fino ad oggi dove sia la sua tomba (Dt 34, 5). Alla trasfigurazione di Gesù fa da necessario contrappunto la reazione di Pietro. Innanzitutto estatica: “è bello stare qui”. Poi operativa: “facciamo tre tende”. Infine, per l’annotazione di Marco al quale Pietro forse lo avrà raccontato: “non sapeva che cosa dire, perché erano spaventati”. Alle condizioni attuali essi restano estranei alla vicenda pasquale. Protagonista della trasfigurazione, come della Pasqua, è anche il Padre. La sua voce dalla nube dichiara: “questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo! Lo scenario si svuota. Niente più si scorge: “non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro”. Gesù solo con loro: la gloria del Figlio è quella di Gesù che solitario si incammina sulla via della croce.

Dopo la trasfigurazione tutto torna alla normalità, all’opacità del quotidiano. La gloria del Figlio è comprensibile solo dalla sua risurrezione dai morti, con il dono dello Spirito. Come i discepoli, senza lo Spirito, rimaniamo anche noi nella piena incomprensione. E con essi ci domandiamo ancora: Cosa vuol dire risuscitare dai morti?

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