Gli esegeti che studiano e meditano sul vangelo di Marco, sono concordi nell’indicare come, dal punto di vista della strutturazione letteraria, con Mc 6,7-13 si apre la cosiddetta “sezione dei pani”. Essa culminerà con la confessione di fede di Pietro: “Tu sei il Cristo” (Mc 8, 30).
I versetti che leggiamo in questa 15ª Domenica ci parlano dei “Dodici”. Marco introduce gradualmente dapprima la chiamata dei “primi discepoli” in Mc 1,16 e, successivamente in Mc 3,13 parla della “istituzione dei Dodici”, benché il verbo più che “costituire i dodici” è più affine all’atto creativo di Dio. In Mc 3,13-19, Gesù che aveva scelto i Dodici tra i discepoli, “li chiamò apostoli perché stessero con lui e per mandarli a predicare con il potere di scacciare i demoni”. L’origine che sempre perpetuerà la robusta costituzione dei Dodici è che “Gesù li chiama a sé”.
Relativamente a Mc 6,7–13, nell’originale testo in lingua greca, si rimane colpiti dalla discordanza dei verbi utilizzati dall’evangelista. Si trova scritto così: “Gesù chiama a sé”, quindi tempo verbale presente; è immediatamente dopo “cominciò, prese a mandarli”, in aoristo, tempo verbale per indicare che quell’evento non è rimasto chiuso nel passato, ma perdura da quel momento in avanti. Il criterio principale della missione dei suoi discepoli è che non vanno mai da soli. Nel nome di Gesù non esistono inviati single. Il messaggio di cui i discepoli sono fautori è il mezzo che lo porta, le due voci degli inviati a due a due. Non l’impressione o il pensiero personale, ma una missione che nasce e cresce solo come “mutuo aiuto”. A due a due, secondo l’usanza ebraica (cfr. Atti 13, 2), vengono inviati: non solo per indicare con “due testimoni” una garanzia di verità, ma per infondere nella Chiesa nascente che la complementarietà e l’unità dei differenti con la parola del Vangelo è principio della Chiesa stessa: egli è in mezzo ai due o tre riuniti nel suo nome (Mt 18,20); i due che si amano nel Signore sono una sola carne (Mc 10,7); li mandò a due a due (Mc 6,7). Il potere che ricevono per l’annunzio del Regno è generato dalla comunione con lui ed è il suo stesso potere: la lotta contro «gli spiriti impuri», la predicazione della conversione, la unzione dei malati e la guarigione.
In ogni tempo, e con ogni forma di società, la comunità dei discepoli è chiamata a debellare l’opera demoniaca. I demoni vanno cacciati: la violenza verbale e fisica, in quest’epoca endemica dal bullismo al femminicidio, passando dalla crisi educativa; la menzogna, fake news e macchine del fango: mai tanta informazione e mai così difficile sapere la verità. È all’opera nel mondo il demone del possesso, della corruzione diffusa, della difficoltà di condividere, dell’esclusione e dello scarto. Il regno di Dio è vicino la dove i demoni sono cacciati da quei demoni che inquinano il mondo. Tutte queste liberazioni sono parabole del regno di Dio. L’azione di “scacciare i demoni” è opera dei due, mandati da Gesù. Essi sono mandati ad una umanità malata: di malattie fisiche, psichiche, morali, relazionali. La cura inizia dai due che vanno. La chiesa come comunità terapeutica, vita familiare che guarisce; la chiesa comunità che lotta, contro le oppressioni diaboliche. La chiesa che, a partire dai due che vanno nel nome di Gesù, opera e predica prendendosi cura. Nella essenzialità e senza pretese di agevolazioni. Come non pensare all’unità dei coniugi? Le azioni continuative del cacciare i demoni, ungere e guarire, promanano dalla predicazione del vangelo dei due, un vangelo secondo l’accordo di almeno due, vera prassi terapeutica.