Nella giornata odierna è stata pubblicata la “Relazione del Ministro dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla DIA” nel secondo semestre del 2020 (Leggi quii) Questa mattina, 22 settembre 2021, nella sala riunioni della Sezione Operativa della DIA di Agrigento, il dott. Roberto Cilona, vice questore e capo della DIA di Agrigento ha tenuto una conferenza stampa nel corso della quale ha illustrato la Relazione con particolare riferimento al contesto territoriale agrigentino.
Il contesto Generale
Con il prolungamento dell’emergenza dovuta al Covid, “la tendenza ad infiltrare in modo capillare il tessuto economico e sociale sano” da parte delle organizzazioni criminali “si sarebbe ulteriormente evidenziata”. E’ quanto afferma la Relazione della Dia al Parlamento sottolineando che si tratta da parte delle mafie di una “strategia criminale che, in un periodo di grave crisi, offrirebbe alle organizzazioni l’occasione sia di poter rilevare a buon mercato imprese in difficoltà, sia di accaparrarsi le risorse pubbliche stanziate per fronteggiare l’emergenza sanitaria”.
La criminalità – sintetizza l’Ansa – organizzata cambia sempre più faccia: Cosa Nostra, Camorra, ‘Ndrangheta lavorano costantemente per ampliare le proprie capacità di relazione e sempre più in sinergia con i colletti bianchi, “sostituendo l’uso della violenza, sempre più residuale, con linee d’azione di silente infiltrazione”.
Il contesto Siciliano
Nella nostra Regione – secondo la Relazione – “coesistono organizzazioni criminali eterogenee e non solo di tipo mafioso. Nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento è egemone cosa nostra. Del resto quest’ultima, poiché impossibilitata a ricostituire un organismo di vertice per la definizione delle questioni più delicate, risulta avere adottato un coordinamento basato sulla condivisione delle linee di indirizzo e della ripartizione delle sfere d’influenza tra esponenti di rilievo dei vari “mandamenti”,anche di province diverse. Nell’area centro-orientale della Sicilia sono invece attive organizzazioni “più fluide e flessibili” che si affiancano ai clan storici. Tra queste, sottolinea la Relazione, “un rilievo particolare è da attribuire alla ‘Stidda’, un’organizzazione inizialmente nata in contrapposizione a Cosa Nostra ma che oggi tende a ricercare l’accordo con quest’ultima per la spartizione degli affari illeciti”. (cfr. pag. 64)
La provincia di Agrigento
Così come ha evidenziato anche dal dott. Cilona – ” La provincia di Agrigento appare caratterizzata dalla pervasiva presenza sia di cosa nostra sia, in specifiche aree, della stidda. Su alcune porzioni del territorio provinciale opererebbero in ossequio alle tipiche logiche mafiose anche altri gruppi a base familiare quali i paracchi (presenti a Palma di Montechiaro) e le famigghiedde (presenti a Favara). Sodalizi questi ultimi che risultano ricercare forme di intesa o di cooperazione subalterna con le consorterie appartenenti a cosa nostra e alla stidda.
La capillarità della “pressione” mafiosa – si legge nella Relazione (cfr. pag.83) condiziona lo sviluppo economico depauperando il tessuto sociale e produttivo. Lo stesso capoluogo – si legge – versa in una situazione critica evidenziando carenze infrastrutturali e organizzative dovute alla “parassitizzazione” dell’imprenditoria e del commercio da parte delle consorterie. Al riguardo è interessante – continua la relazione – rilevare quanto, il Prefetto di Agrigento, Maria Rita Cocciufa, evidenzia (“così come da informazioni investigative assunte” si specifica nella nota 97) che la “… la povertà culturale, non disgiunta da quella economica, determina una situazione di arretratezza nella quale continuano a proliferare le regole dettate dalla criminalità organizzata. Anche gli Enti locali, in molti casi rappresentati da Amministratori non sempre all’altezza dei complessi compiti e con apparati amministrativi caratterizzati da carenze di professionalità oltre che di risorse finanziarie, stentano a rispondere adeguatamente alle istanze dei cittadini; tale situazione è aggravata dalla assenza di organismi intermedi espressione della c.d. “società civile” particolarmente restia a impegnarsi e a partecipare fattivamente a quello che dovrebbe esse il perseguimento del “bene comune”.
“Il pervasivo condizionamento sociale – prosegue la Relazione – sarebbe tra l’altro rilevato dall’inclinazione verosimile dei cittadini a rivolgersi all’organizzazione mafiosa per la risoluzione di problematiche private”. Degna di particolare attenzione è la nota 98 di pag.83 dove si legge che che il Perfetto, dott.ssa Maria Rita Cocciufa sottolinea ulteriormente che è presente “… una certa assuefazione a regole ancora fortemente radicate nel contesto sociale agrigentino, quale l’impossibilità di avere riconosciuti i diritti se non ricorrendo ai favori…Non può non rilevarsi anche l’assenza di modelli positivi di reazione a gravi fenomeni…, confermata dalla totale assenza di associazioni antiracket e antiusura”. E anche che “La provincia allo stato rimane…un territorio privo di prospettive soprattutto per i giovani che in numero cospicuo ogni anno “emigrano” in altre zone del Paese o all’estero per completare gli studi o in cerca di lavoro. Tale stato di cose ha determinato un sensibile depauperamento del territorio con il conseguente abbassamento del livello culturale e di consapevolezza che lascia spazio a comportamenti caratterizzati da scarso senso civico e devianza, purtroppo non sempre adeguatamente stigmatizzati dalla comunità.”.
Il contesto criminale del territorio agrigentino
Esso è caratterizzato dalla presenza diffusa di cosa nostra che confermerebbe la sua ripartizione in area in 7 mandamenti ( specificati nella nota 101: Mandamenti di Agrigento, Burgio, del Belice, Santa Elisabetta, Cianciana, Canicattì e Palma di Montechiaro) nel cui ambito risultano operare 42 famiglie. Si tratta – si legge nella Relazione – di un numero di articolazioni particolarmente elevato in relazione alla limitata vastità del territorio e soprattutto considerando che anche la stidda continua a registrare un ruolo di rilievo in alcune porzioni della provincia” (La stidda risulta presente – si legge nella nota 102 di pag, 85 – nei territori di Palma di Montechiaro, Porto Empedocle, Naro, Favara, Canicattì, Campobello di Licata, Camastra, Bivona e Racalmuto). ” Cosa nostra agrigentina conferma – si legge nel rapporto – i caratteri di un’organizzazione verticistica e rispettosa delle tradizionali regole. Evidenzia inoltre collegamenti con le famiglie catanesi, nissene, palermitane e trapanesi non disdegnando rapporti con realtà criminali oltre lo Stretto. (per maggiori dettagli cfr. pag.85 della Relazione).
Le attività criminose (estorsioni, spaccio, gioco d’azzardo, corruzione)
Per quanto riguarda le attività criminose esse – si legge della Relazione – ” si realizzano in primo luogo tramite la consueta pressione estorsiva sulle attività imprenditoriali, anche agropastorali, esercitata con minacce e danneggiamenti.Per altro verso numerosi sono gli arresti di soggetti che gestiscono le locali “piazze” di spaccio. Altro settore d’interesse mafioso è quello relativo al controllo del gioco d’azzardo… Va poi evidenziata – continua il rapporto – la sinergia tra la criminalità organizzata e alcuni esponenti di quell’ ”imprenditoria grigia” che intrattengono relazioni d’affari con cosa nostra o con altre organizzazioni di tipo mafioso… È inoltre significativa la capacità di cosa nostra agrigentina di orientare le scelte degli Enti locali per l’aggiudicazione degli appalti pubblici attraverso l’infiltrazione, il condizionamento o la corruzione. Pratiche che hanno condotto nel corso degli ultimi anni allo scioglimento di diversi Comuni.(cfr. pag 87).
Nel contesto criminale agrigentino continuano infine a operare gruppi di matrice etnica, in particolare si tratta di compagini maghrebine, egiziane e romene. Esse sono tollerate dai sodalizi mafiosi in quanto dedite a pratiche illecite non di diretto interesse quali il riciclaggio dimateriale ferroso, i reati predatori, lo sfruttamento della prostituzione e lo spaccio al dettaglio di sostanze stupefacenti.
In termini prospettici – conclude la Relazione in merito alla provincia di Agrigento – si può ritenere che l’egemonia di cosa nostra proseguirà, con il mantenimento di “un equilibrio” con la stidda nei territori d’elezione della stessa”.
IL VIDEO DELLA PRESENTAZIONE