Il giusto senso delle proporzioni – II Domenica di Avvento

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L’evangelista Marco, unico fra i sinottici, non presenta alcuna vicenda dell’infanzia di Gesù. Il lettore-discepolo è immediatamente posto di fronte a Gesù e all’annuncio del vangelo. Tuttavia, i primi tredici versetti, dai quali leggiamo in questa seconda domenica di avvento i relativi primi otto, hanno una analoga funzione: introdurre all’unicità del mistero di Cristo, con un annuncio che già promana dalla prospettiva pasquale.

Vangelo, sino a Marco, era una notizia: l’annuncio della vittoria militare, la visita o la disposizione dell’Imperatore per una città, la nascita o l’ascesa al trono di un re. Marco assume la parola comune vangelo e, dal senso comune, la fa evolvere al senso eccelso: la notizia di rilievo assoluto, in ragione di Dio che ordina sia annunziata, per il contenuto della morte e risurrezione del Cristo di Dio, muta la condizione dei destinatari che accolgono la notizia. Da  iniziatore del genere letterario ‘vangelo” – questo Marco è – offre alla comunità un libro come segno della memoria della fede. Discepoli e comunità continueranno sia a riferirsi al kerigma, all’annunzio liberante della morte e risurrezione di Cristo. Ogni discepolo e la chiesa stessa,  come si narra nel vangelo di Marco, continueranno a domandarsi chi sia costui. Sentiranno l’interrogativo dello stesso Cristo: “ma voi chi dite che io sia? Nella fede sperimenterà che la potenza della quale Cristo è stato costituito è a loro partecipata. Dando testimonianza e risposta: come Pietro, a metà del vangelo (8,29), come il centurione romano ai piedi della croce (15,39).

Il primo versetto di tutto il vangelo e che ascoltiamo da Marco questa domenica è una specie di titolo: il vangelo che Gesù annunzia con parole e azione è Egli stesso, il Cristo (8,29), il Figlio di Dio (15,39). Emerge così tutta la paradossalità della fede: la notizia buona è l’ascesa sul trono della croce del Figlio di Dio. Il vangelo che si genera nel testo di Marco, inizia alla notizia buona pronunciata da Gesù, che è Gesù. «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio», (Marco 1,1) ha valore normativo, è regola posta al principio e al fondamento della gioia vera che viene da Dio. Tutto il resto del vangelo è offerto al discepolo che si interroga e prova a corrispondere a questo “titolo”, non solo del testo del vangelo ma del vangelo che è Gesù. Marco prosegue poi con una serie di tre citazioni vetero testamentarie, tratte dal profeta Malachia, da Isaia e dal libro dell’Esodo. L’insieme delle citazioni compone un testo come se Dio si rivolgesse direttamente a Cristo: «a te che io mando per il definitivo esodo, faccio precedere uno che ti prepara la via». Non è il precursore il motivo della gioia, che sta nella indicazione dell’imminente arrivo del Signore nella vita del popolo. Segue la presentazione di Giovanni: egli battezza, con abluzione che è segno di conversione all’incontro col Signore. Il suo ministero viene accolto dal mondo giudaico. Viene accostato al profeta Elia. Della predicazione di Giovanni, Marco offre due versetti: «Dopo di me viene uno che è più forte di me… egli vi battezzerà con lo Spirito santo».

Tre elementi di raffronto tra la persona di Giovanni e quella di Gesù: tra le loro figure non c’è paragone, neanche si può proporre quello tra schiavo e padrone. Il suo battesimo, e forse già si intravede la morte di Cristo e il suo significato, impregnerà, inzupperà l’umanità di Spirito santo. Vinte saranno definitivamente le forze del male perché il Cristo è il forte, ha la forza di JHWH. La dichiarazione sull’improponibile confronto fra Giovanni e Gesù, offre il giusto senso delle proporzioni. La presenza del Messia sempre richiederà il ridimensionamento di ogni pretesa. Sotto questo aspetto, ogni riferirsi al Cristo e al suo vangelo, avrà in ciò il suo inizio, come Giovanni testimonia.

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