Il brano del vangelo della quarta domenica di avvento coincide con quanto ascoltato nella solennità della Immacolata. Si tratta della scena dell’Annunzio dell’arcangelo Gabriele a Maria. Luca quasi dipinge un grande affresco che comunichi l’evento inaugurale della nuova Alleanza. All’interno della relazione unilaterale e di grazia che Dio stabilisce, Maria viene chiamata ed inviata, si da costituire in Cristo come il portato principale. Il vocabolario utilizzato da Luca attinge a piene mani agli altri patti e formulari di Alleanza dell’Antico Testamento. Come in quelli anche all’Annunciazione compare una figura di mediazione, l’arcangelo Gabriele. Al popolo-Maria, il mediatore-portavoce rivolge la parola del Signore, apportatrice di esigenze, ma prima di tutto di promesse e invito a corrispondere vitalmente. L’evangelista Luca è preoccupato di dare concretezza, vividezza ai tratti storici della “trattazione ordinata dei fatti” inerenti la salvezza apportata da Cristo. Per questo, anche nel nostro brano, non lesina tempi, luoghi, relazioni: “nel sesto mese, a Nazareth, a Maria promessa sposa di Giuseppe”.
Il vangelo, non solo nel testo ma nell’ascolto e nell’azione evangelizzatrice, è impegno e sfida ad entrare nello stesso dialogo che avviene tra Dio e gli uomini e praticarlo fra gli uomini. L’angelo saluta Maria: Rallegrati, piena di grazia. Il saluto mediato da un messaggero per conto di Dio ha specifica intensità, tratti personalissimi, relativi al rapporto fra il Signore e Maria. Ma, nello stesso tempo, attingendo al patrimonio dell’Alleanza nella rivelazione biblica, ha come destinatario il popolo fedele e, per suo mezzo, l’intera umanità.
Nell’originale si dice Chaire, cioè gioisci, esulta, rallegrati Maria. Questo saluto riecheggia l’invito rivolto dai profeti – Isaia per primo – alla Figlia di Sion a tenersi pronta ad accogliere il re e salvatore, il Messia. Non ha niente a che fare con il semplice “salve”, ave, peggio ancora buondì. Rallegrati, tu Maria “che Dio ha colmato dei suoi favori”. Cosa avrà voluto dire con quel “secondo nome”? Che senso ha congiungere un tal consistente, esorbitante appellativo al nome proprio di Maria? Per la storia di dolore e l’esperienza universale del limite, comprese le infedeltà di Israele e del giudaismo, sembrava non dovesse esserci più nessuna speranza di consolazione. Ma non per tutti era così. Non lo era per Dio fedele e soccorritore misericordioso. Non lo era per il popolo che riconosceva presente comunque il Signore ne attendeva con perseveranza l’intervento.
Gioisci Maria, il Signore che ha in molti modi nei tempi antichi “guardato e soccorso” ultimativamente si volge benevolo totalmente a te, secondo la promessa per Abramo e la sua discendenza. Più che ad un profeta, più che ad un altro dei mediatori fra lui e il suo popolo, in questo giorno, Dio stesso “rende grato, fa grazia, fa entrare nella sua benevolenza”. L’ espressione è unica in tutta la Bibbia: nell’originale termine greco kecharitomén? è termine indica una forma verbale, un’azione continuata di “benevolenza, amore, gratuità, dono, favore”. Il saluto che è Parola di Dio, nome nuovo col quale Dio rivela l’identità e la missione di Maria, provoca turbamento. Come avviene in tutti i racconti di vocazione, i chiamati si interrogano, cercano il senso, provano a trovare il significato. Il volgersi di Dio a Maria, alla Chiesa, a ciascuno, trascende sempre la comune e specifica bassezza.
Con fede umile, Maria-Grazia, chiedendo il senso si dispone ad ulteriore radicamento: grata a te amore benevolo, certo della tua presenza operosa, dammi ancora Parola che indichi la via per un ulteriore passo verso te. Sarà solo il senso di Maria- Grazia, il senso per ogni chiesa che si riforma.