Intuito non scoperto – Domenica delle Palme

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Gli studiosi dei vangelo sono soliti affermare che ciascuno di essi, in fondo, non sono che narrazioni della passione e del senso della morte di Gesù, preceduti da una lunga introduzione. Ancor più questa considerazione può e deve applicarsi al vangelo di Marco. Basta considerare che dieci capitoli sono dedicati alla missione pubblica di Gesù e ben cinque alle ultime giornate di Gesù a Gerusalemme. Fra questi gli ultimi due, di estensione più ampia di tutti i precedenti, alle ultime ore di Gesù.

In questa domenica delle Palme leggiamo proprio i due capitoli del racconto della Passione. Il lungo brano è un susseguirsi di piccoli quadri che descrivono situazione umane, confronti di persone. In una serie di quadri diversi personaggi entrano in confronto diretto con Gesù, vivendo ciascuno la propria chiamata e la propria presa di posizione verso il Regno. Anche nella sua passione Gesù ha la missione di annunciare il Regno di Dio alle persone più diverse e più lontane, a quelle che più sembrano respingerlo. Una galleria di persone si confrontano con il seme del Regno di Dio. Ciascuno con una diversa risposta, davanti ad un Gesù sempre uguale nel suo atteggiamento di disponibilità e di offerta di salvezza.

In questa serie di quadri colpisce il silenzio di Gesù. Egli parla brevemente all’inizio: a Giuda, alle Guardie, al sommo Sacerdote, a Pilato. E poi tace. Tutti girano intorno a Gesù come in una tragica giostra ed egli, col suo silenzio, domina tutto. Contempliamo anche il contrasto tra le persone che si agitano, che fanno e che dicono una cosa o l’altra e Gesù che, con la sua silenziosa presenza, è al centro, dominatore di una situazione caotica e convulsa. Non possiamo ovviamente commentare la passione secondo Marco (Mc 14,1-15,47). Ci soffermiamo solo sul valore di questo silenzio nel compiersi dell’ora della morte di Gesù sulla croce.

Come per gli altri evangelisti, anche Marco, intende far scoprire la fecondità misteriosa di quell’evento. La passione non è un intermezzo increscioso: nella vicenda “mortale” del Cristo, appare il vigore kerigmatico che proclama la realtà sconcertante del piano divino nella storia, dell’umanità e di ogni reietto, di ciascun “mortale”. Inizio del vangelo di Gesù Cristo, che è Gesù Cristo notizia buona, Figlio di Dio: così nel primo rigo  di Mc 1,1. Solo al fine il centurione sotto la croce lo proclama, e Pietro a metà del vangelo, ma non comprendendo profondamente il senso e le conseguenze. Per tutto il suo vangelo, Marco ha annunziato che Cristo invitava e comandava a coloro che di Gesù, nella fede, coglievano “qualcosa in più” a mantenere il segreto. Il rischio era che i segni e le guarigioni operati da Gesù, procurando “fama” al Nazareno, dessero di lui una notizia superficiale, non corrispondente al vero, non coerente col fine per il quale era “uscito dal Padre”. Quanti erano stati beneficati erano invitati a “mantenere il segreto” di ciò che avevano intuito: la “identità e qualità di condizione e di offerta di vita” è divina. Solo nell’ora decisiva della morte, come in un “conto alla rovescia”, siamo condotti alla profondità della presenza di Dio, alla gloria sua, direbbe Giovanni.

“Quando fu mezzogiorno, si fece buoi su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio. Alle tre Gesù grido a gran voce… dando un forte grido spirò” (Mc 15,33 – 34.37). Ciò che era stato intuito di chi realmente fosse il Cristo, e di quanto segretamente portava da Dio nel mondo, ora solo è “scoperto”. È secondo il disegno di Dio che si compia e che si operi  nella morte in croce, che la vicenda della vita di Dio si congiunga con la storia, con l’umanità scartata, con la fine di ogni umana aspettativa, gratificazione, affermazione. Solo Dio “scopre”, strappa gli orpelli di cui ammantiamo la fede in lui con le nostre intuizioni, perché sino a che accogliamo solo il Cristo scoperto sulla croce.

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