Nella terza domenica, dopo che nelle precedenti abbiamo letto Giovanni, la liturgia ci presenta l’apparizione di Cristo risorto ai discepoli a Gerusalemme il giorno stesso di pasqua. Questa scena segue immediatamente l’episodio di Emmaus. L’episodio detto “dei discepoli di Emmaus” (24,13-33a), sta al centro della sezione che Luca nel suo vangelo dedica ai racconti della Pasqua (Lc24,1-53). Ad un estremo del capitolo 24 leggiamo della “visita delle donne e di Pietro al sepolcro” (24,1-12). A conclusione “l’apparizione agli Undici” (24, 33b-53).
La modalità concentrica che scorgiamo non è fortuita. L’autore attorno a ciò che al centro ha curato con maggiore cura, fa comparire parole e motivi complementari. Da questo centro – dal racconto di Emmaus – si deve partire come da chiave di interpretazione dell’intera sezione e, ovviamente dal brano che ci interessa. Al centro del centro del racconto dei discepoli di Emmaus ci sono le parole: Egli è vivo (Lc24,23). Nei diversi annunci di risurrezione sempre risuona, come un ritornello: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risuscitato», dicono alle donne due uomini in veste sfolgoranti in Lc24,5-6. Ed ancora in Lc24,33-34, dei discepoli di Emmaus si dice: «E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”».
In tutte e tre le pericopi (alla tomba, verso Emmaus, ai discepoli a Gerusalemme), l’annuncio del Risorto si coniuga con la riconoscibilità “nello spezzare il pane”; nella comunicabilità della sua parola. Mentre i discepoli tornati da Emmaus narravano ciò che era accaduto e come lo avevano riconosciuto, Gesù in persona stette in mezzo. È una caratteristica di tutti i Vangeli, quando Gesù risuscitato appare, si mette sempre in mezzo. Non in testa al gruppo. Se così fosse alcune sarebbero più vicine e altre ultime. Con le gerarchizzazioni di cui siamo capaci, comprendiamo le conseguenze. L’operazione che Cristo compie con i discepoli di Emmaus ai quali «spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (24,27), la ripete con gli Undici e gli altri discepoli: «Allora aprì loro la mente all’intelligenza delle Scritture» (24,45).
Comprendere il senso autentico della morte di Gesù, smascherare le attese sbagliate della comunità che si raduna nel suo nome, corregge la lettura fuorviante della sua vicenda è azione rivitalizzante ogni tempo della Chiesa. Soltanto la “rimeditazione” della Scrittura consente ai discepoli di riconoscere Gesù come Risorto. La ruminazione della Scrittura consente di aprire gli occhi e il cuore per riconoscere che Gesù è il Vivente. Non si ha più vergogna, alla luce di Gesù che apre l’intelligenza delle Scritture, di riconoscere che si è stati duri di testa e soprattutto di cuore nell’affidarsi a Dio. La delusione, la tristezza e la paura di cui sono vittime i due di Emmaus e i discepoli a Gerusalemme, sconfiggono ancora esponenti di ogni livello ecclesiale, non più attorno al centro dove sta Gesù. Tra Gesù risuscitato che la spiega e la Scrittura che ci offre chiarimenti per comprenderlo, si attiva per la Chiesa di sempre un circuito virtuoso, capace di tirarla fuori dalle sue paure, manie, dal suo millantato credito presso Dio. Solo la grazia e la potenza del Risorto possono “aprire” la mente umana al progetto di Dio compiuto per Cristo nello Spirito, secondo la Scrittura.
Nella spiegazione che Gesù fa di sé, secondo le memorie vive delle Scritture, se per un verso è ripetuta la necessità della sua passione, per altro verso si profila che l’unico futuro possibile della Chiesa sta “nel suo nome” e nel fare della sua missione l’unica regola.