Il vangelo di Giovanni presenta tre “venute” di Gesù risorto ai discepoli.
Le prime due narrano di una venuta di Gesù nel giorno di Pasqua: senza Tommaso quella volta; con la sua presenza la domenica successiva. Ciò che più colpisce di questa pagina giovannea (Gv 20, 19 -31) è la confessione di fede di Tommaso in Gesù risorto: “Mio Signore mio Dio!”, successive alla precedente presa di distanza: “Se non vedo… e non metto… e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. Ma andiamo con ordine.
Gesù venne e stette in mezzo. In piedi, Gesù risorto, sta: attorno gli autoreclusi, atterriti da paure. La consueta formula di saluto fra gli ebrei, “shalom”, viene offerta da Gesù più volte. Cosa ha di speciale rispetto al significato comune di pace? “Pienezza di pienezza di vita”, questo è shalom, è offerta dal Trafitto, dal Piagato: “Mostrò loro le mani e il costato”.
Per Luca i discepoli «sotto l’effetto della gioia rimanevano ancora increduli e si stupivano», provocando da parte di Gesù una nuova dimostrazione della propria corporeità, e poi un insegnamento a partire dagli annunci scritturistici (Lc. 24,41-47). In Giovanni il riconoscimento è immediato: la gioia del vedere il Signore è pienezza della fede. Si compie la promessa di Gesù: «II mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete, perché io vivo ed anche voi vivrete» (14,19). Il riconoscimento del Signore implica che la relazione con lui è definitiva: «In quel giorno voi conoscerete che io sono nel Padre e voi in me ed io in voi» (14,20). La sua gioia nei discepoli è gioia piena (16,22.24). Con lo stesso alito-soffio dello Spirito che Gesù emise, mentre sono ricreati, diventano segni e strumento di riconciliazione, emissari di Cristo come lui lo è del Padre. Tale parola riproduce ciò che Gesù diceva nel suo ultimo colloquio con il Padre: «Per il fatto che mi hai mandato nel mondo, anch’io li ho mandati nel mondo». Il verbo usato mandate e il tempo verbale dell’originale greco, connota la durata permanente della sua missione, che continua attraverso i credenti. Partecipi della sua funzione: “è perdonato il peccato da Dio, ed in modo definitivo. Nel momento in cui la comunità perdonerà, Dio stesso perdona”.
Il tentativo dei discepoli di convincere Tommaso, incontro lo scetticismo naturale dell’uomo, la supposizione che al massimo ci sia continuità fra il mondo che conosce e quello che può desiderare: “Se non vedo… e non metto… e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo”. Tommaso, espressione della prima e della successiva comunità, riceve da Gesù l’offerta di soddisfare la sua esigenza ma, a passare, come avviene in Giovanni dal vedere, al credere ed, infine al comprendere: cessa di mostrarti incredulo, ma mostrati credente! Di Tommaso non viene riportato alcun gesto, ma solo la confessione assoluta: «Mio Signore e mio Dio!». È occasione per Gesù di proclamare ancora beatitudine: “Perché tu mi vedi tu credi. Beati coloro che non hanno visto e hanno creduto! “Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più, ma voi mi vedrete… In quel giorno voi conoscerete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi” (14,19-20).
Il nostro modo di accesso alla fede non è lo stesso di Tommaso. Ai testimoni oculari del Risorto è stata consegnata, nello Spirito e nella parola, una speciale memoria, non solo per se stessi, ma in funzione delle generazioni future. Tommaso non giunge alla fede attraverso la verifica effettiva delle piaghe e delle ferite, ma per la parola del Risorto. Ed, in fondo, lo stesso vale almeno per me che scrivo non so per voi: e non essere incredulo, ma credente!