Provati per credere – I Domenica di Quaresima

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La prima domenica di Quaresima sempre presenta le tentazioni di Gesù. I sinottici concordano nell’annunziare un periodo di prova alla quale Gesù fu sottoposto, secondo la volontà di Dio, dopo il suo battesimo. Per Marco è nell’intera vita e non soltanto un momento puntuale. Della tentazione si fecero servitori non solo i farisei (8,11;10,2;12,15), ma anche lo stesso Pietro (8,32-33). La tentazione-prova diverrà violenta negli ultimi giorni, quando Gesù si incamminerà sulla via della croce. E fin lì i suoi avversari (15,29-32) ancora lo proveranno. In realtà, la tentazione di Gesù, è esperienza di abissale profondità, pressoché insondabile. Senza la Parola di Dio e senza Spirito, nulla può comprendersi della prova, della tentazione, e del tentare Dio.

Dice la lettera agli  Ebrei, cap. 4,15: «Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato». Ed in 2,18: «Infatti proprio per essere stato messo alla prova ed avere sofferto personalmente, è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova». Le tentazioni secondo Marco, sono racchiuse in due versetti del cap. 1, 12-13. Intercaliamo il testo per averne un più profondo gusto.

Lo Spirito sospinse, letteralmente scaccia, getta Gesù nel deserto. Il deserto è spazio ricco per la visione biblica. È il luogo o dell’incontro, fra Dio e il suo popolo, secondo l’esperienza fontale del libro dell’Esodo. Come passivo, tentato da satana. Tentazione è prova. Provare, nel senso comune è tentare, portare al di là, sforzarsi, tendere, intraprendere, misurarsi con qualcuno, sforzarsi per qualcuno. Il padre fa azione verso il figlio, per consentirgli di crescere. Si cresce solo quando ci si mette alla prova, si verifica, si tende, ci si sforza. Ma c’è anche la prova della sofferenza che rivela l’uomo e per la quale ci si interroga. C’è poi il senso religioso di tentare mettere alla prova; cercare di conoscere la realtà profonda, di sé, di Dio, della relazione con lui.

Nel deserto il popolo mette alla prova Dio, contesta, provoca, disputa, “si rifiuta di credere”. Nel deserto, la mancanza di fede e la presunzione, la disobbedienza e le mormorazioni del popolo eletto diventano una provocazione contro Dio, «tentare Dio». In Esodo 15,24-25: «Allora il popolo mormorò contro Mosè: «Che cosa berremo?». Egli invocò il Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell’acqua e l’acqua divenne dolce. In quel luogo il Signore impose al popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla prova». È Dio che mette alla prova il popolo. Provati per credere.

E in Esodo 17,7:  «Mosè fece così, sotto gli occhi degli anziani d’Israele. E chiamò quel luogo Massa e Merìba, a causa della protesta degli Israeliti e perché misero alla prova il Signore, dicendo: «Il Signore è in mezzo a noi sì o no?». È il popolo che mette alla prova il Signore. E nel deserto rimase, era, stava, quasi fisso nel deserto Gesù. Si tratta di un’azione continuativa, forma verbale detta “presente storico”: il verbo è al passato, ma il senso è un’azione che si estende nel presente del lettore.

A differenza di Matteo e Luca, Marco non riporta alcun contenuto delle tentazioni né le colloca in ambiente diverso dal deserto. Lo Spirito che getta Gesù in questo “star nella prova faccia a faccia con satana”, getta anche il lettore, oltre il vangelo. Quaranta giorni. Sono il ritmo della storia di Dio che trasforma la vita dell’uomo. Era, stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano. Con Gesù tentato, inizia di nuovo il tempo dell’origine, vero Adamo che solo con la pasqua della sua crocifissione definitivamente stabilirà.

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