Ricorre oggi, 26 maggio, il XVI anniversario (2006-2022) da quando, mons. Domenico De Gregorio “è nato alla vita vera” come volle annunziarlo lui stesso, preparando per tempo, il manifesto con l’annuncio della sua nascita al cielo, sul quale volle si scrivessero queste parole: “Oggi….. è nato alla vita vera il Sac. Domenico De Gregorio. Pregate per lui il Padre misericordioso e la Beddamatri Santissima”.
La famiglia del settimanale diocesano, “L’Amico del Popolo”, di cui è stato direttore per venticinque anni, in questo giorno lo ricorda con affetto e memoria grata, ed invita ad elevare preghiere di suffragio al Signore della vita.
Questa sera, alle ore 21:00, don Vincenzo Lombino, unitamente alla Comunità ecclesiale di Cammarata, suo paese natio, nella Chiesa San Vito del comune montano, lo ricorderanno con una conferenza sul tema: “Cristo in Mons. Domenico De Gregorio”, di cui troverete un ampia sintesi sul nostro settimanale in edicola domani.
Il XVI anniversario, inoltre, cade nel trentennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio, offriamo, per tanto, in sua memoria, un suo celebre editoriale pubblicato sul n.28 del 3 ottobre 1982 del nostro settimanale quando venne assassinato il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Scrive don Giuseppe Ferranti, allora vice direttore del Settimanale nella prefazione al mio testo “La parrocchia di carta” (che raccoglie alcuni degli oltre 1200 editoriali pubblicati da mons. Domenico De Gregorio tra il 1976 e il 2001):
“Quando venne assassinato Carlo Alberto Dalla Chiesa, lo sgomento e l’angoscia bloccarono il nostro lavoro in redazione. Telefonai al Direttore. Anche lui aveva appreso la terribile notizia. Gli chiesi di scrivere un altro editoriale sulla mafia e di rinviare quello che aveva già scritto e lasciato in redazione. Mi aspettavo un editoriale di fuoco. Quando lo ricevetti e i lessi rimasi perplesso e un pò contrariato. Lo rilessi con calma in tipografia e ne compresi la straordinaria valenza è importanza etico-sociale: il Direttore aveva conficcato il suo bisturi alla radice del terribile male”.
L’editoriale venne ripreso dal SIR e ripubblicato da una trentina di testate in tutta Italia. Ecco il testo
“…Quivi è perfetta mafia”
Insistente, ostinato, implacabile, come uno di quei motivi musicali con cui ti svegli il mattino e ti tormenta sino a sera, in questi giorni mi ha lungamente ossessionato un giro di frase di una celebre pagina del nostro aureo Trecento, ma modernizzata, anzi attualizzata. Per liberarmene te la trasmetto scusandomi per la pochezza, relativa, dell’applicazione, limitata, per la necessità di evitare la monotonia, a pochissimi casi, anche se esemplari.
Se tu, povero agricoltore, hai presentato una domanda ad un ente per ottenere un contributo per lavori eseguiti davvero o per l’acquisto di macchine e di attrezzi per rimodernare la tua azienda e, più volte, ti sei recato al capoluogo di provincia o alla capitale della regione o della Repubblica e da un ufficio sei stato rimandato ad un altro, da un incompetente ad un competente che, poi, si rivela incompetente ti spedisce ad un altro competente e, passati gli anni, tu hai pagato gli interessi dei prestiti e finalmente, quando ti giunge, se mai ti arriverà, l’atteso contributo sarà così misero da non compensarti ne delle spese affrontate, ne del tempo perduto, ne delle umiliazioni subite, scrivi che quivi è perfetta mafia.
E se tu, o sessantacinquenne, raggiunti i limiti di età, vai in quiescenza (bella espressione rivelatrice!) e attendi che ti liquidino (più bella e più rivelatrice ancora!) la pensione e dopo le insistenze dell’amico sindacalista, del parente dell’onorevole, della nipote del grande elettore, finalmente, trascorsi anni ed anni, ti staccano l’assegno di pensione che magari ti arriva postumo e te lo depongono, come tuo medagliere, sulla bara, scrivi che quivi è perfetta mafia.
Se hai una pendenza giudiziaria che tra rinvii, vecchi e nuovi ruoli, eccezioni avvocatesche, ferie o scioperi di magistrati, cancellieri e uscieri, di treni, aerei, autobus, ti fa penare per qualche decennio prima di ottenere una sentenza e poi, per un altro, prima che si decida l’appello, ed un altro ancora per la sentenza definitiva, se pur l’otterrai, scrivi che quivi è perfetta mafia.
Se tu poi, onorevole senatore o deputato, d’innanzi alla proposta di legge del divorzio o dell’aborto o altra, di qualsiasi genere, pensi di votare secondo la tua coscienza, ma non lo devi perché così ha deciso il clan dirigente del tuo partito; oppure ti si presenta una leggina fatta apposta per sistemare la moglie del capociurma o il nipote del primo tamburo e tale da ledere gli interessi di una moltitudine di aspiranti o così balorda da chiudere i manicomi, perché tutti siamo pazzi e la Costituzione sancisce l’eguaglianza dei cittadini e tu la voti, scrivi che quivi è perfetta mafia.
E se tu, consigliere comunale, distrettuale o provinciale o di qualunque organismo democratico, vedi che il bene pubblico reclama un provvedimento e tu non lo prendi, richiede un commissario ma non lo mandi, ha bisogno di una amministrazione stabile ma la sciogli, o, viceversa, per il patriottismo di partito, per la bustarella, il prestigio, il puntiglio, l’interesse la sostieni, scrivi che quivi è perfetta mafia.
Se tu, cittadino ingenuo, vedi che si ripara una piazza, una via, una chiesa e, potendo spendere dieci, si spende mille e si demoliscono strutture capaci di sfidare i secoli per costruirne altre che non arriveranno da Pasqua a Natale e se leggi quei gran tabelloni con i nomi della Repubblica, della Regione, dell’impresa, degli ingegneri e con cifre dai molti zeri e poi, calcolando alla buona, ti rendi conto che la spesa effettiva non arriva ad un decimo della preventivata, perché la rimanenza è servita ad ungere ruote ed ingranaggi, scrivi che quivi è perfetta mafia.
E se citato, povero cittadino, da tanto di lettera con tassa a carico, ti rechi al capoluogo per sistemare una tua pratica e non trovi l’impiegato addetto perché è andato a prendere un caffè e l’aspetti, invano, sino alle due e ritorni l’indomani e poi ancora il giorno seguente e quello è sempre intento a sorbire il caffè e, data la sua competenza, non è sostituibile, perché le persone sono uniche, irripetibili e non scambiabili, scrivi che quivi è perfetta mafia.
E se ti metti in fila ad uno sportello e dopo avere deposto la tua tessera nella pila delle precedenze attendi pazientemente e poi vedi che l’ultimo arrivato ti passa avanti, la chiamerai magari piccola o minima, ma scrivi che anche quivi è perfetta mafia.
E se, e se e se… Ogni volta che non compi il tuo dovere e disprezzi il debole e ti chini al potente; per capriccio o pigrizia calpesti il bisognoso e lo esponi e costringi a spese, pericoli, perdita di tempo e ti fai pagare per ciò che, in forza del tuo ufficio e del tuo stipendio, sei obbligato a fare, scrivi che quivi è perfetta mafia.
Ma questo ostinato motivo, questa triste nenia, rischia di diventare come il Bolero di Ravel un serpente infinito. Tronchiamola qui.