Rimanere nel giro e mettere in circolo – VI Domenica di Pasqua

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Dal mashal – paragone – allegoria della “vite e i tralci”, questa domenica, sempre da Gv 15,9-17 i versetti volgono vorticosamente sull’amore.

Il tema dell’amore è qui sviluppato con più forza che in ogni altro passo del Quarto Vangelo. Scorgiamo una vicinanza estrema con i motivi della prima lettera di Giovanni. Gesù aveva affermato in Gv 6,57 che la vita era passata dal Padre al Figlio perché il Figlio potesse comunicarla ad altri. Questa vita è amore che si comunica (15,9). Ricordiamo che siamo ancora nell’ambito dei cosiddetti “discorsi di addio”, che promanano in Giovanni dalla “lavanda dei piedi, quando egli “mostrò il suo amore per i suoi sino alla fine” (13,1). Giovanni per “amore-vita”, termini intercambiabili, non intende qualcosa di emozionale, etico. Si tratta di una unità di essere in virtù di una qualità divina. Amore è essere e rimanere in Gesù. Dalla vite e i tralci, Gesù esplicita la mutua immanenza tra lui e il suo discepolo, come amicizia,  come unione di amore (15,9). L’invito a rimanere in lui è sostanziato dall’amore che Gesù nutre per i discepoli-amici, amore simile a quello che il Padre ha per il Figlio.

Quando Giovanni evangelista utilizza il termine “come” – come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi; amatevi come io ho amato voi – non intende soltanto una modalità comparativa, ma pure causativa o costitutiva. Giovanni sta dicendo: “in quanto che” ho amato voi, in quanto che il Padre ama. E neanche si tratta di offrire ai discepoli un termine di paragone, come a dire che egli li ama con un amore paritetico a quello che il Padre ha per lui. L’amore del Padre per Gesù è fondante, manifestato precisamente nel dono della vita del Cristo per i suoi amici (15,13). Anche con un uso particolare del verbo amare, nell’originale greco, si indica che l’amore del Padre per Gesù ha un carattere continuativo verso i discepoli. Tale amore è espresso anche come manifestato in un tempo, puntuale e preciso, quando Gesù muore sulla croce. Questo amore è sulla croce. Questo certamente non esclude la continuità dell’amore, come si vede nella seconda riga del versetto successivo (15,10b). Solo rimanendo nel ‘giro’ di questo amore la Chiesa potrà portare frutto. “Rimanete nel mio amore”. “Rimanete in me”. La permanenza nel suo amore è attivabile dall’ascolto purificante della sua parola. Non un vago affetto intimistico consente di rimanere in lui-amore, ma nell’osservanza dei comandamenti (15,10).

Amore dipende dall’obbedienza alla parola, e l’obbedienza della parola dall’amore. Un rapporto esistenziale con Gesù, accogliendo e manifestando il suo gesto e la sua parola. Come Egli ha conservato i precetti del Padre e perciò vive custodito ed intimamente unito a lui, tanto da formare una cosa sola con lui (10,30.38; 14,9ss). Rimanere nel giro dell’amore che congiunge il Figlio al Padre e che il Figlio ci ha manifestato per compiersi nella gioia piena e perfetta (15,11), vita in abbondanza (10,10). La gioia in Giovanni è associata all’opera salvifica di Gesù (3,29; 4,36; 8,56; 11,15; 14,28). La gioia che scaturisce dall’unione di Gesù con i discepoli, arriva a compimento quando i discepoli metteranno in circolo l’amore col quale sono amati, cioè porteranno frutto.

La comunità dei discepoli rimane nell’amore di Gesù se osserva la sua parola. Ed la parola-comandamento fondamentale è l’amore col quale il Padre ama. Il giro dell’amore divino si amplia, partecipando  al supremo atto di amore di Gesù, dare vita. In 1Gv 3,16 la morte di Gesù viene presentata addirittura come modello del modo di esprimere l’amore: “Da questo abbiamo conosciuto l’amore: Egli ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”.

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