____di Stefano Milioto___
Pirandello ha il vezzo, che è poi elemento della sua poetica, di mettere ai suoi personaggi nomi che ne denotano indole, caratteri fisici, morali, psicologici e professionali. Coi nomi ci gioca corrompendo, storpiando e trasformandone la forma, inventando di sana pianta per una più precisa identità onomastica, ma la scelta non è mai casuale. Il nome insomma è una “maschera” dietro cui camuffa i personaggi reali o fantastici. Nella sua immaginifica galleria onomastica non vi è nome che non significhi qualcosa, che non sia aderente alla personalità del personaggio creato: Mattia Pascal, Vitangelo Moscarda, Diego Spina, Cinci, Morabito, tanti altri e in I vecchi e i giovani Spridione Covazza, per la cui comprensione necessita una breve premessa. Dunque, il romanzo.
I vecchi e i giovani (1913) è nell’intento dichiarato di Pirandello “il romanzo della Sicilia dopo il 1870, amarissimo e popoloso romanzo, ove è racchiuso il dramma della mia generazione”.
Il dramma consiste nella delusione post risorgimentale, da lui vissuta con acuto risentimento. È un romanzo complesso e vi si narrano, sullo sfondo degli avvenimenti accaduti in Sicilia dalle elezioni politiche del 1892 ai Fasci siciliani dei lavoratori e allo stato d’assedio del 1894, le vicende dei Laurentano, Ippolito e Cosmo, antica e nobile famiglia girgentina, ancora attaccata al disciolto Regno delle Due Sicilie, e dell’altro girgentino Flaminio Salvo, produttore di zolfo, e le conseguenze negative per il meridione e per la Sicilia del fallimento dei moti risorgimentali e delle idealità che li hanno prodotti. “E qual rovinio era sopravvenuto in Sicilia di tutte le illusioni, di tutta la fervida fede, con cui s’era accesa alla rivolta! Povera isola, trattata come terra di conquista! Poveri isolani, trattati come barbari che bisognava incivilire!”. In tale rovinio dominano la corruzione, i latrocini e gli intrighi, che hanno l’apice nel fallimento della Banca Romana (1893)(“l’abbarruffio oscuro di una frode scellerata”), vera metafora della “bancarotta del patriottismo”, in cui sono coinvolti i nomi più gloriosi del riscatto nazionale, perfino familiari del Capo del governo Francesco Crispi.
Viene aperta un’inchiesta e vengono fuori cose obbrobriose. Nel dicembre del 1892, durante il governo presieduto da Giovanni Giolitti, tali risultati sono divulgati dal deputato radicale Napoleone Colajanni e dal deputato moderato di destra Lodovico Gavazzi, le cui iniziative aprono un animato e turbolento dibattito in Parlamento. Nel romanzo a denunciare in Parlamento lo scandalo della Banca Romana è Spiridione Covazza, identificato dalla critica nel solo deputato siciliano di Enna Napoleone Colajanni. Ma da un’analisi fonologica e grafica di nome (Spiridione) e cognome (Covazza) si scopre una combinazione ben amalgamata di due antroponimi: Napoleone Colajanni e Lodovico Gavazzi. Giocando proprio coi nomi: Spiridione assona con Napoleone e Covazza con Gavazzi, dunque, Spiridione Covazza, si può dedurre che lo Scrittore agrigentino abbia voluto rendere omaggio per la coraggiosa impresa in quel “rovinio” della politica nazionale anche al deputato lombardo di Lecco Lodovico Gavazzi. Giustizia è fatta!