Palazzo San Domenico: Firetto senza maggioranza

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Chiesa e Palazzo S. Domenico, sede del Comune di Agrigento

Quando, nell’ormai lontano 2015, Lillo Firetto sedette per la prima volta sulla poltrona di sindaco, a sostenerne l’azione amministrativa c’erano 22 consiglieri comunali su 30. Una messe di consensi che derivava dall’importante percentuale di voti ottenuti al momento del voto, che però, dopo meno di 3 anni il sindaco ha letteralmente perso per strada: oggi a suo sostegno aperto rimangono tra 12 e 13 voti. Un’oscillazione che dipende sostanzialmente dal tipo di provvedimento da approvare, che a volte può trovare accoglimento da parte della cosiddetta “opposizione responsabile”.

Il primo strappo, in termini di gruppi, fu quello consumato nell’aprile del 2017, quando Uniti per la Città lasciò l’Amministrazione comunale con le dimissioni dell’assessore Franco Micciché e l’allontanamento del gruppo. Prima, e dopo, si erano poi registrati cambi di schieramento e partito, con le conseguenze di contestuali assestamenti di maggioranza. Una sorta di forellino in una piscina, che con il tempo ha quasi svuotato il tutto.

L’ultimo passo indietro è quello che hanno consumato gli ex Alfaniani: tre consiglieri su 5 di Alternativa popolare, alcune settimane fa, dopo un anno circa di mal di pancia ben poco camuffati (e anzi manifestati con rapidi abbandoni dell’Aula al momento del voto, con contestuale caduta del numero legale) hanno lasciato il sindaco. Si tratta di Alfonso Mirotta, Teresa Nobile e Alessandro Sollano, cui si aggiunge il vicepresidente del Consiglio comunale Gianluca Urso, il quale però ha anche cambiato gruppo, andando a costituire insieme ad Angelo Vaccarello la compagine di Popolari e Autonomisti, in area Di Mauro.

Le motivazioni della scissione alfaniana furono messe nero su bianco in una nota stampa: i tre contestavano “l’assenza di una chiara gestione, il mancato rispetto del programma elettorale sottoscritto con gli elettori di Agrigento nel 2015”. Non solo, ma i tre invitavano il primo cittadino a “dare spazio più alle azioni concrete come il sostegno reale alle famiglie”. In realtà a monte c’è anche una questione di strettissimo controllo politico: Ap da tempo chiedeva un assessore del gruppo in Giunta, consapevole del peso baricentrico dei propri voti in aula. Firetto si era fin qui fatto sempre sordo, nominando alla fine 3 consiglieri-assessori che però, accusano gli ex “amici”, hanno solo i propri voti.

L’effetto dell’uscita è stato praticamente immediato: il Consiglio comunale ha potuto approvare il piano Tasi e quello Tari dopo un rinvio e due giorni di martellamento da parte delle opposizioni, con soli 12 voti, cioè la maggioranza dei presenti.

Lui, il sindaco, non sembra essersene fatto un cruccio. Anzi. “Noi porteremo in Aula atti responsabili, realizzati per il bene della città, e ci aspettiamo parimenti prese di posizione responsabili da parte dei consiglieri – ha spiegato -. Del resto l’assenza di maggioranza non è solo un problema agrigentino, ma un fenomeno che anche a causa della situazione politica nazionale e regionale è abbastanza diffuso”.

Un appello alla “responsabilità”, che dopo quello al “governo di salute pubblica” riporta il dibattito cittadino all’epoca di Marco Zambuto, emblema del sindaco che può rimanere in carica anche senza i numeri in Consiglio comunale, che però non ha smorzato le polemiche. A chiedere una seduta dedicata al dibattito politico era stata Forza Italia. Una proposta che aveva trovato un atteso rilancio da parte del Movimento 5 Stelle: la consigliera Marcella Carlisi, infatti, ha depositato una mozione di sfiducia nei confronti del sindaco, che però al momento ha raccolto solo 2 firme (ne servono 12 per discuterla, una ventina per approvarla) e che rischia di spaccare lo stesso fronte delle opposizioni. In pochi, infatti, vogliono portare il confronto ad un livello superiore alle note stampa.