L’arrivo della primavera coincide, anche ai tempi d’oggi ove il ritmo delle stagioni sembra non più rispettare l’antico ordine, con il risveglio della natura. Gli arbusti iniziano a rivestirsi di foglie, gli alberi da frutto fioriscono, il sorgere del mattino è allietato dal canto degli uccelli, la temperatura si fa più mite. Nelle città i sensi sono gradevolmente colpiti dalla vista delle aiuole fiorite dei giardini pubblici e dei balconi colorati da mille petali di varie tinte e dagli odori sprigionati da mille essenze. Una sensazione di piacevolezza si diffonde nelle vie e nelle piazze e agli alunni meno giovani ritorna alla memoria una strofetta della poesia “Primavera” di Angiolo Silvio Novaro che, in rima, chiedeva al lettore cosa portasse la primavera “che vien danzando; vien danzando alla tua porta: Sai tu dirmi che ti porta? Ghirlandette di farfalle, campanelle di vilucchi, quali azzurre, quali gialle, e poi rose, a fasci e a mucchi…”.
Ad Agrigento, purtroppo, la primavera non ha portato né rose e vilucchi, tanto amati dal poeta, né odori gradevoli ma solamente fetore e immondizia, tanta “munnizza”, sparsa generosamente e ripetutamente per le vie, i cortili e le strade o gettata all’interno dei pochi giardini pubblici esistenti, che mani “accorte” hanno abbandonato e continuano ad abbandonare in multicolori sacchetti azzurri, gialli, neri, monocromatici o disegnati, scelti secondo l’ispirazione o la disponibilità del momento.
È noto che, dopo vari preannunci e differimenti, l’Amministrazione comunale ha avviato la raccolta differenziata dei rifiuti urbani. Si può discutere del modo col quale il servizio sia iniziato e si può anche giustificare qualche lamentela generata dalle disfunzioni, peraltro prevedibili in presenza di una siffatta novità, che si sono registrate ma va dato atto al Governo della città di avere finalmente dato il via a ciò che in altri luoghi da tempo veniva fatto con soddisfacenti risultati.
Di fronte a tale positiva iniziativa pubblica che si prefigge di migliorare la vivibilità in città, una aliquota non indifferente di agrigentini (altruisticamente coadiuvata da altrettanto inurbani paesani dei centri viciniori) ha risposto con manifestazioni di inciviltà che superano ogni immaginazione impegnandosi, con inspiegabile accanimento e disinvolta mancanza di senso civico, ad “arredare” la città con “tappetti” multicolori costituiti da distese di spazzatura.
In tale opera di degrado, gli agrigentini hanno dato e continuano a dare diversificate manifestazioni del loro estro e del loro ingegno, in passato più volte utilizzati a danno della collettività. C’è chi si libera del sacchetto lungo le vie di accesso all’abitato lanciandolo con abilità dall’autovettura in corsa; chi preferisce lasciare il segno della sua inciviltà vicino al marciapiede accanto al quale ha finto furbescamente di parcheggiare l’automobile; chi, amante del mare e dello spazio aperto, deposita il pattume sulla spiaggia e chi, attratto dal verde, decide di “concimare” con la sua spazzatura i boschetti delle pendici collinari.
Che in città, accanto ai tanti cittadini animati da senso civico, ci sia una consistente aliquota di persone allergiche alle regole è cosa nota; come è noto che i concetti di bene comune e di virtù civica siano sconosciuti a molti i quali, per antica tradizione locale che ha creato negli anni scorsi sfaceli e danni incalcolabili (basti pensare al devastante abusivismo edilizio), privilegiano esclusivamente il loro “particolare” e lo perseguono con testardaggine degna di miglior causa. Ma ciò che in questi giorni siamo costretti a subire – e a mostrare ai tanti volenterosi turisti venuti per ammirare le nostre bellezze e partiti “schifiati” dalla vista dei cumuli di immondizia – sa veramente di inverosimile e di deprimente. Se, malgrado i servizi “antisporcaccioni” svolti dalla Polizia Locale e gli ammonimenti che l’Assessore comunale competente rivolge giornalmente ai suoi concittadini, non cessa l’inciviltà di questi soggetti che, con ostinata determinazione, continuano a regalarci il loro pattume alimentando le file di sacchetti che delimitano e segnano le sedi viarie e a creare discariche di rifiuti di ogni genere che “ingentiliscono” il panorama, probabilmente non ci rimane che rassegnarci alla desolante conclusione che questa è una città veramente irredimibile, irrimediabilmente refrattaria ad ogni positivo rinnovamento.
Di certo, se Pindaro potesse ritornare nella moderna Akragas verosimilmente continuerebbe, ancora abbagliato dalle antiche vestigia, a definire la città “la più bella tra le città dei mortali” ma non potrebbe trattenersi dall’aggiungere, con disprezzo, al sostantivo plurale “mortali” l’aggettivo qualificativo “sozzi”.
Salvatore Cardinale