Domenica 3 luglio 2022, Agrigento ha “riabbracciato” il suo Santo.
Mentre scrivo sono le 16:30, dal mio studio sento, in lontananza, i tamburi e la banda musicale eseguire la Zingarella; il simulacro di san Calogero, come da programma giunge puntuale in via Garibaldi. Per l’edizione 2022, come era stato detto durante la presentazione della Festa (vedi), poco o nulla è cambiato rispetto al passato, dopo due anni di stop dovuto alla pandemia di Covid. Da queste colonne desidero fare un pubblico apprezzamento nei confronti dei portatori che, ai vari tavoli istituzionali in preparazione alla Festa, avevano preso degli impegni e, con senso di responsabilità li hanno mantenuti; ma anche alla Confraternità, al delegato vescovile, don Gerlando Montana, a don Giuseppe Lentini per l’impegno profuso nell’organizzare la Festa. Un ringraziamento particolare agli agrigentini che si sono mostrati all’altezza del ritorno tra la gente del Santo, sotto l’ombra di una pandemia non ancora domata, vissuto con una cifra di religiosità più alta. Se di novità bisogna parlare, rispetto al passato, è la presenza – coralmente apprezzata – dell’Arcivescovo per un tratto alla processione, dopo avere celebrato la Santa Messa delle ore 10:30 in Santuario.
In tanti sono rimasti colpiti dalla presenza del vescovo ai piedi del Santo tra i portatori. Lo confesso: me l’aspettavo!
In occasioni di veloci scambi personali in cui, memore anche della sua esperienza a Trapani, il vescovo era del parere che per evangelizzare la pietà popolare bisogna anche frequentarla.
Ed è quanto ha fatto con gesti di prossimità già nei giorni precedenti la Festa, incontrando portatori e confraternita.
La mia personale convinzione ha avuto una conferma ulteriore il 18 giugno u.s. (vedi), quando, nella memoria liturgica di San Calogero, l’Arcivescovo Alessandro ha presieduto nel Santuario di Agrigento, la S. Messa. Durante l’omelia, usando una immagine suggestiva ha detto che “fare memoria di san Calogero è scendere nella pancia della pietà popolare agrigentina, un aspetto dell’evangelizzazione – ha aggiunto – che non può lasciare insensibili”.
Una immagine, quest’ultima –che ho voluto recuperare nel mio editoriale, sul n.23 del settimanale diocesano “L’Amico del Popolo” unitamente alla sottolineatura che la pietà popolare “ è un aspetto dell’evangelizzazione che non può lasciare insensibili”.
Scrissi che “le parole dell’Arcivescovo erano un invito rivolto a tutti coloro che liquidano, in maniera frettolosa la pietà della nostra gente come ‘superstizione’, ‘solo esteriore’ qualche volta ‘folkloristica’ o anche ‘pagana’. Nel suo intervento, inoltre, l’arcivescovo ha riportato l’insegnamento di Paolo VI, nel tanto citato, un po’ meno praticato, n.48 nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi. Parole che papa Francesco, il 9 giugno, incontrando i preti e vescovi di Sicilia aveva chiesto di riscoprire.
Concludevo la mia riflessione con un interrogativo: “E se partiamo con lo scendere nella pancia della pietà popolare della nostra gente per riscoprire in essa espressioni particolari della ricerca di Dio e della fede?”E, rivolgendomi a tutti coloro che alla pancia preferiscono la testa, scrissi: “ non sarebbe meglio porsi in ascolto e approfondire il senso cristiano della mano che tocca la statua di San Calogero o quella che offre il pane, dopo averlo impastato e cotto o anche semplicemente acquistato al forno, ma anche quelle dei genitori che accostano i piccoli al volto del santo per sciogliere un voto, o ancora i piedi scalzi che sull’ infuocato asfalto percorrono km per giungere al Santuario e così andare a scuola dai semplici e imparare in che senso questi gesti sono o non sono gesti cristiani , invece, di decidere a priori, senza avere conoscenza dei fatti, che scadono nella superstizione, o che di cristiano hanno poco?”
Pertanto non mi ha meravigliato la presenza dell’Arcivescovo – anche se solo per un breve tratto – in mezzo al popolo; non davanti, ne dietro, ma in mezzo!

Poco prima in santuario nel suo intervento omiletico (foto a destra) aveva proprio richiamato l’immagine suggestiva del «fare memoria di san Calogero è scendere nella pancia della pietà popolare agrigentina». Ed ha affermato: “Ed è proprio così”. I santi patroni, quelli ufficiali – ha proseguito – e ancora di più quelli riconosciuti tali dal popolo, tra miti e tradizioni, davvero toccano corde profonde del sentire religioso di uomini e donne di ogni tempo e di ogni luogo. Ora in modo raccolto e rispettoso della dignità del santo che si vuole onorare, ora in modo scomposto dove l’esuberanza e l’apparire soverchiano l’affidarsi alla intercessione dell’uomo di Dio. Non sia questo – ha ammonito – il nostro caso”.
Ha successivamente posto una domanda, a se stesso e a quanti erano presenti in Santuario: «In cosa, nell’oggi della mia vita, san Calogero mi è maestro». Rendere onore ad un santo, ad una santa – ha detto – è riconoscerne le qualità e assumerle nella propria vita di credenti, nel tempo in cui viviamo”. Commentando, poi la apagina del Vangelo di Gesù che invia i 72 discepoli ha evidenziato come “ essa ci aiuta a dare una risposta comunitaria, quella personale è affidata alla coscienza di ciascuno… Questa Parola – ha proseguito – mi rimanda all’urgenza della evangelizzazione, che è compito di tutti i battezzati, ad evangelizzare non è mai il singolo, è la comunità, la Chiesa va ad evangelizzare e gli operai sono pochi, sempre. Mentre si evangelizza lo Spirito aggiunge fratelli e sorelle fino a quando l’annuncio del Vangelo avrà raggiunto tutti e tutte. Un annuncio agile, senza lasciarsi appesantire dalle cose di questo mondo e guardare all’essenziale: l’incontro con Cristo.
Attenti – ha evidenziato – è questo il punto centrale della nostra fede: «l’incontro con Cristo nella mia vita». Senza questo incontro c’è il serio rischio che le nostre manifestazioni di pietà popolare, i nostri atti di religione, siano vuoti a volte persino superstiziosi. Cari amici e amiche, ha proseguito – dobbiamo stare in guardia da una religione senza fede”. Ha poi evidenziato (quasi una chiave di lettura del gesto che di li a poco lo avrebbe visto in processione ai piedi del Santo ndr) come la festa di San Calò “è occasione formidabile di evangelizzazione se, guardando ai santi, li assumiamo come principi di azione della nostra vita di credenti. Pronti quindi a tradurre il vangelo nella nostra quotidianità, perché le nostre relazioni, le nostre azioni possano concorrere al bene di tutti. Perché ciascuno di noi possa portare «frutti di opere buone per la salvezza del mondo» e così concorrere al bene della nostra città, della nostra Chiesa”.
Ed in fin ha concluso riproponendo le parole di Papa Francesco nella sua esortazione sulla santità nel mondo contemporaneo, “mi sembra importante richiamarle – ha detto – perché l’euforia che avvolge le nostre processioni non offuschi la testimonianza che possiamo dare: Il disegno del Padre è Cristo, e noi in Lui. In definitiva, è Cristo che ama in noi, perché «la santità non è altro che la carità pienamente vissuta». Pertanto, «la misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua». Così, ciascun santo è un messaggio che lo Spirito Santo trae dalla ricchezza di Gesù Cristo e dona al suo popolo. Questo è un forte richiamo per tutti noi. (continua Papa Francesco) Anche tu hai bisogno di concepire la totalità della tua vita come una missione. Prova a farlo ascoltando Dio nella preghiera e riconoscendo i segni che Egli ti offre. Chiedi sempre allo Spirito che cosa Gesù si attende da te in ogni momento della tua esistenza e in ogni scelta che devi fare, per discernere il posto che ciò occupa nella tua missione. E permettigli di plasmare in te quel mistero personale che possa riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi. Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Lasciati trasformare, lasciati rinnovare dallo Spirito, affinché ciò sia possibile, e così la tua preziosa missione non andrà perduta. Il Signore la porterà a compimento anche in mezzo ai tuoi errori e ai tuoi momenti negativi, purché tu non abbandoni la via dell’amore e rimanga sempre aperto alla sua azione soprannaturale che purifica e illumina» (cfr. Francesco, Gaudete et exsultate 19/24)”.