In una Cattedrale deserta, presenti soltanto i lettori, l’organista e il sindaco di Agrigento come assemblea partecipante, si è celebrata la Messa in Coena Domini che ci immette nel triduo pasquale. A celebrare l’arcivescovo Francesco Montenegro.
In un silenzio irreale pronuncia l’omelia rivolta a quanti stanno partecipando alla funzione religiosa attraverso la diretta televisiva o dei nuovi mezzi di comunicazione di massa. «Quest’anno – ha esordito l’arcivescovo – le limitazioni causate dal corona virus, ci costringono a rinunciare e a vivere tutto ciò attraverso i mezzi della comunicazione che entrano nelle nostre case e ci permettono di unirci spiritualmente a quanto la liturgia ci propone».
Parlando del brano evangelico il vescovo Francesco sottolinea come «Giovanni non racconta l’istituzione dell’eucarestia ma la lavanda dei piedi. Così il servizio fatto agli ultimi e l’eucaristia sono come le due facce dell’unica moneta: il sacramento spinge al servizio e la carità attinge la sua forza dal pane eucaristici. […] Per ora non possiamo ricevere il corpo e il sangue di Cristo; ma, come dice Gesù, possiamo comunicare con lui attraverso i poveri».
E poi rivolgendo un accorato appello al suo popolo «Viviamo questi giorni di pandemia in modo che ai poveri arrivi la nostra solidarietà. Non con le parole ma con i fatti. Tanti volontari si stanno adoperando per aiutare chi è nel bisogno e li ringrazio insieme a tutte le associazioni caritative […] Ma mi sento di chiedere a tutti: facciamo qualcosa per chi è nel bisogno! Nel rispetto delle norme dateci perché nessuno rimanga privo del necessario! Se possiamo organizzare raccolte di generi alimentari, preparare qualche pasto per le persone sole o mettere a disposizione somme di denaro, farmaci, buoni spesa… tutto quello che può servire facciamolo. Ciò che faremo ai poveri è fatto a Gesù; e – mi assumo la responsabilità di quello che vi sto dicendo – agire così è lavare i piedi e perciò celebrare la nostra Eucarestia. Con la carità testimoniamo il valore dell’Eucarestia».
E poi concludendo: «Non è tempo di nostalgie o di tristezza per le privazioni a uscire e a recarsi in chiesa. È tempo di mettere in campo la fantasia della carità. È tempo di chiedersi: “io, concretamente, cosa posso fare?” “Come posso aiutare?” È tempo di passare dalle mani giunte a mani che si sporcano davanti al povero. È tempo di stare ai piedi dei poveri perché li amiamo e perché il Signore, oggi, ci raggiunge attraverso la loro sofferenza. È tempo di pregare ma anche di agire. È tempo che il Pane eucaristico diventi Pane di condivisione, Pane che da’ forza, Pane che ci fa sentire tutti fratelli perché Lui che si è donato a noi, ci chiede di diventare dono per tutti. Sono certo che, se accoglieremo quest’invito del Signore, sarà un Giovedì santo “particolare”; anzi, un “vero” Giovedì santo e quando, finalmente, potremo ritornare nelle nostre chiese, ce ne ricorderemo e faremo in modo che ogni eucarestia sia celebrata come questo giovedì santo. E sarà gioia per tutti».