Rifiuti: il bando e la realtà

Rifiuti e raccolta differenziata, se la caccia agli “sporcaccioni” rimane certamente una priorità per ridurre il fenomeno delle discariche abusive, ci sono delle domande alle quali, ancora oggi, non riusciamo ad avere risposta.

Al netto delle posizioni da tifo calcistico (ovvero, c’è chi ritiene che tutto vada bene a prescindere, e chi sostiene che nulla funzioni, a prescindere), ancora oggi non è chiaro come alcune cose siano state effettivamente progettate nel contesto del servizio di igiene ambientale, attivo, in questa versione 2.0 da luglio 2017. In quella data, infatti, il Comune dispose una variante migliorativa che applicava su tutto il territorio comunale la raccolta differenziata con il sistema del porta a porta. Tutto, o quasi tutto, per la precisione.

Una delle questioni emerse quasi subito non appena il servizio è partito, è stato il minor numero di mastelli a disposizione rispetto agli utenti. Si dirà: beh ci sono gli evasori. Risposta parziale, perché se le autodenunce fin qui registrate sono state oltre 3000, vi è ancora oggi uno squilibrio enorme tra utenti e cespiti. Come rilevato dalla consigliera comunale del M5S Marcella Carlisi, se gli utenti previsti nella variante erano 22mila, i cespiti registrati nella Tari 2016 erano ben 30mila. Capirci qualcosa prima era, purtroppo, impossibile, dato che gli uffici contano su banche dati gestite con sistemi informatizzati tra loro diversi, e quindi sostanzialmente non era possibile avere un calcolo esatto. Quello che è certo è che il Comune sapeva già che i mastelli erano meno di quelli che sarebbero serviti, tanto che l’ex assessore Mimmo Fontana contava nella successiva gara d’appalto, che andrà in aggiudicazione in autunno per 9 comuni della provincia per integrare i kit mancanti. Perché rinviare? Semplicemente perché questo avrebbe consentito da un lato di ottimizzare la fornitura dei mastelli, ma anche di pesare meno sulla tassa agrigentina, che si è tentato di ridurre ad ogni costo, anche tagliando di 14 unità il personale. Salvo poi, e questo rientra tra gli altri punti mai chiariti, scrivere in diversi atti interni che le risorse umane in campo non erano bastevoli a garantire la copertura di tutti i servizi.

Quindi ci sono oggi molti agrigentini che, se rientrano tra quelli volenterosi, fanno la raccolta differenziata con i sacchetti. Dentro questa percentuale rientreranno – ampiamente schermati – anche tutti gli abusivi, che senza l’arrivo dei kit con nome e cognome dell’utente, continueranno a smaltire i rifiuti gravando sulle spalle di chi già paga.

Nell’attuale servizio, inoltre, esiste una sorta di grande paradosso: le cosiddette “zone non servite”. Aree ampie del nostro territorio dove si è deciso di non garantire il porta a porta perché la densità abitativa è estremamente bassa e sarebbe quindi improponibile battere il territorio casa per casa. Quale soluzioni sono state pensate per zone come Petrusa, Fondacazzo, Zingarello, Galleria Santa Lucia? Se in alcuni casi semplicemente non è stato fatto nulla (vedasi Petrusa), in altri è stato pensato il posizionamento di cassonetti stradali che, ovviamente, sono divenuti dopo poco delle discariche. Così sono arrivate le isole custodite, aperte solo per poche ore al giorno. Perché nessuno ha pensato prima a queste situazioni? E, soprattutto, chi le ha rese “zone non servite”?

L’atto di sottomissione firmato dalla ditta, infatti, prevede letteralmente la “raccolta differenziata con il metodo del porta a porta presso tutte le utenze domestiche e non domestiche site nel territorio comunale di Agrigento”, cui aggiungere lo “spazzamento manuale e meccanizzato del suolo pubblico, delle vie e piazze dei quartieri della città”. Si legge “tutta la città”, si traduce “solo alcune porzioni scelte non si capisce come”.

Volendo continuare con le domande, quali misure si stanno mettendo in campo in modo concreto per erodere la fetta dell’evasione a volte totale a parte elevare saltuariamente delle contravvenzioni a chi abbandona i rifiuti per strada? Perché nessuno ha pensato a soluzioni studiate appositamente per le variabili conformazioni urbanistiche del territorio agrigentino? Perché non pensare a sistemi diversi per il centro città e le periferie? Perché non pensare ad un servizio di raccolta differenziata diverso tra le utenze domestiche e le non domestiche? Come è stato possibile prevedere che bar e ristoranti dovessero tenere dentro i locali gli scarrabili in attesa del giorno di raccolta? Non erano forse chiare la conformazione di gran parte di queste attività e, soprattutto, le regole previste in termini di igiene?

Domande, appunto, senza risposte. Oggi sappiamo solo che si sta tentando, più o meno, di tappare i buchi con pezze spesso non particolarmente “coprenti”, che sono poco ammissibili per un servizio che costa ai cittadini oltre 14 milioni di euro l’anno.

Allo stesso modo, solo da pochi giorni il Comune ha iniziato a ricevere dalle ditte un report aggiornato del lavoro svolto sul territorio. Fino ad oggi non sapevamo in modo esatto chi faceva cosa e, soprattutto, cosa stavamo pagando. Le fatture del servizio di igiene ambientale, infatti, sono cumulative e non differenziano (scusate il gioco di parole) tra le varie attività svolte. Chi verifica che siano svolte davvero? La risposta del Comune in questi anni è sempre stata la stessa: non abbiamo personale per i controlli, ci affidiamo a quanto ci viene comunicato dalle stesse ditte.

Così, se oggi la percentuale di differenziata è sopra il 60%, spereremo di comprendere prima o poi se quanto speso dai cittadini corrisponde a servizi parimenti adeguati alla richiesta e previste nel contratto firmato con le ditte.

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