Salvatore e Giuseppe si raccontano

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in foto: da sx Salvatore Ingoglia e Giuseppe Vecchio

Grande festa per la Chiesa agrigentina. L’arcivescovo Alessandro Damiano, venerdì 24 marzo 2023, vigilia della solennità dell’Annunciazione del Signore, ordinerà diaconi due giovani seminaristi, Salvatore Ingoglia della comunità ecclesiale di Castelvetrano e Giuseppe Vecchio della comunità di Palma di Montechiaro. A pochi giorni dall’ordinazione li abbiamo incontrati ed abbiamo chiesto di raccontarci come si stanno preparando a questo particolare momento della loro vita. (cfr. “L’Amico del Popolo” n.9/2023)

Salvatore Ingoglia

Salvatore ha 25 anni ed è originario di Castelvetrano. Scopre molto presto la sua vocazione. Aveva circa undici anni quando manifesta alla madre la volontà di entrare in Seminario. Alla risposta negativa del genitore comincia un graduale allontanamento dalla Chiesa, “ma quel fuoco che avevo nel cuore – ci racconta – ardeva costantemente”. Dopo la scuola media si iscrive all’istituto commerciale, indirizzo sistemi informativi aziendali, con il sogno quello di diventare tecnico radiologo. Ma i progetti di Dio erano altri. Entrato a far parte della Gioventù francescana comincia a sentire, giorno dopo giorno, più forte la chiamata del Signore. Decide così di mettersi in discussione e, a diciotto anni, decide di entrare a far parte dei frati minori Cappuccini di San Giovanni Gemini iniziando a frequentare l’Istituto Teologico “San Gregorio Agrigentino”. Ma bene presto Salvatore comprese che la strada di Francesco non era quello a cui il Signore lo chiamava e chiese di entrare in Seminario ad Agrigento.

Giuseppe Vecchio

Giuseppe ha 25 anni ed è originario di Palma di Montechiaro. Diploma di geometra pensava ad un futuro da architetto idea sfumata con la scelta di entrare in Seminario. Cresciuto sin da piccolo nella comunità parrocchiale B.M.V. Immacolata, dove si manifestano le prime avvisaglie vocazionali. Infatti nelle varie attività svolte in parrocchia Giuseppe si chiedeva se questo spendersi per la vita parrocchiale lo rendesse felice. Ed è proprio nel desiderio di trovare una risposta a questa domanda che nel mese di luglio del 2016 decide di frequentare l’anno propedeutico in Seminario dove ha anche poi proseguito gli studi fino a giungere all’ordinazione diaconale.

  • Come vivi il diventare diacono?

Salvatore Ingoglia. L’essere chiamato alla diaconia, mi porta a vivere l’adesione al comando di Cristo “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15), questo comporta una totale donazione della mia vita, cosciente dei miei limiti ma fiducioso in Dio, nel sostegno e nella preghiera dei fratelli.
Giuseppe Vecchio. Vivo questi pochi giorni che mi separano dal diaconato, con due sentimenti che apparentemente sono contrastanti: da una parte la gioia di qualcosa che di nuovo si affaccia nella mia vita, di qualcosa che cambierà per sempre il mio vivere da cristiano. Dall’altro sento la paura di poter sbagliare; so bene che si impara dagli sbagli, che sono proprio questi i momenti che fanno crescere ma devo anche riconoscere che provengo dal tempo della tecnologia, che è quella realtà che ci porta sempre più alle cose perfette, inculcandoci l’idea che i nostri limiti siano sbagliati. Ecco: sto provando ad essere provocato da questa paura per essere veramente me stesso!

Salvatore e Giuseppe il giorno della professione di fede e del Giuramento di fedeltà nell’assumere l’ufficio di diacono.
  • Come pensavi il tuo futuro prima di entrare in Seminario?

Salvatore Ingoglia. I miei piani erano diversi rispetto a quello che il Signore continuava a chiedermi. Sono sempre stato attratto dal settore sanitario dopo un’esperienza fatta all’hospice di Salemi, dove ho potuto costatare l’attenzione e l’amore di molti operatori sanitari nei confronti dei degenti.
Giuseppe Vecchio. Pensavo di avere una visione del mio futuro piuttosto chiara: studiare architettura e approfondire il disegno industriale. Ho compiuti gli studi di geometra proprio per ricevere le basi e poter così accedere ai vari studi di architettura, ma per ritrovarmi a rispondere a questa domanda penso sia chiaro che non è andata proprio così come avevo immaginato! Dio ha progettato prima di me ed è proprio per questo motivo che non ho potuto voltare le spalle a questa “chiamata”.

  • Come ti senti in questo momento in cui mancano pochi giorni alla tua ordinazione diaconale?

Salvatore Ingoglia. La sensazione è complicata da esprimere. Molta è la gioia nel ricevere un così grande dono ma sono consapevole del gravoso compito che mi aspetterà, questo mi fa maggiormente confidare in Dio che è Padre attento nei confronti dei suoi figli.
Giuseppe Vecchio. È la domanda di tanti… provo ad essere chiaro: sento addosso l’ansia che questo momento mi riserva, avverto le aspettative della gente, del mio mettermi al servizio della Chiesa e della nostra in particolare, ma nello stesso tempo non riesco a dire altro, forse perché preso dalle varie cose da fare. Per carattere prendo consapevolezza poche ora prima che qualcosa accada; lì spero di reggere l’emozione e con la grazia di Dio accogliere il dono.

  • Nei mesi che vanno dall’ordinazione diaconale a quella sacerdotale vivrai un momento di servizio che potrebbe essere in una comunità parrocchiale o in un altro luogo che sceglierà l’arcivescovo, cosa ti spaventa di più? Cosa invece ti auguri di potere imparare?

Salvatore Ingoglia. Per me, anche se ho esperienze fatte in parrocchia, significa guardare tutto da un’altra prospettiva cioè, quella del dono totale della mia vita, di conseguenza la mia paura è quella di non riuscire a dare tutto me stesso agli altri. Quello che mi auguro è proprio di imparare a diventare un tutt’uno con l’esperienza che il nostro Vescovo mi permetterà di vivere.
Giuseppe Vecchio. Penso che ciò che mi inquieta si intuisca anche dalle risposte date prima: deludere l’aspettativa che la gente ha, non su di me Giuseppe, ma su tutti gli “uomini di Dio”. Ho paura di non esserne all’altezza, di non essere sufficiente nelle comunità che l’Arcivescovo mi chiamerà a servire. In questi anni formativi trascorsi in Seminario mi sono chiesto spesso se ne valesse veramente la pena, se veramente io ne possa essere capace. Ma da quando le cose che Dio ci chiede sono semplici? Io adesso non sto facendo altro che “lasciare le reti” o forse “prendere il largo” e gettarle altrove, quasi a voler dire che c’è bisogno di una porzione di incoscienza. Di un’incoscienza intesa come coraggio di saper andare oltre il calcolo della logica e della ragione. Sicuramente imparerò molte cose, ma una, secondo me la più importante, l’ho appresa da qualche mese, dopo che l’Arcivescovo ha deciso di mettermi al servizio della comunità di Sant’Angelo Muxaro. Qui ho imparato che prima di essere prete, devo essere figlio di questo territorio, di questa gente e solo dopo uomo dell’altare. Ed è proprio nel mettermi in gioco con l’entusiasmo della mia giovane età che ho deciso di rispondere a quello a cui Dio mi sta chiamando.

Marilisa Della Monica

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