Venerdì Santo, Montenegro: «Pensiamo di essere liberi ed invece siamo schiavi»

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Non arriva, come da tradizione, dopo la processione del Cristo morto per le vie del centro storico della città di Agrigento. E non riecheggia ancora, nelle orecchie, il suono del canto “Ah sì versate lacrime” intonato dai confrati nel tragitto lungo la via Atenea. Arriva nel silenzio surreale della Cattedrale di Agrigento. Pochissime persone quelle a sentire dal vivo la voce dell’arcivescovo pronunciare il consueto messaggio del venerdì santo. Silenzio. Il Cristo morto ed accanto l’arcivescovo di Agrigento a rivolgere a lui una preghiera in questo tempo in cui tutto sembra irreale ed in cui vengono alla luce, lentamente, le pochezze di cui l’essere umano è diventato schiavo. Non ci sono i momenti liturgici con le manifestazioni esteriori della pietà popolare. C’è l’intimità, ci sono i dolori silenziosi e le lacrime.

«È comodo e facile piangere sugli altri – dice l’arcivescovo Francesco – ma piangere su se stessi è doloroso. Non vogliamo vederci per quello che in realtà siamo».
Uomini e donne che pensano di essere liberi ma che invece non lo sono. «Sta diventando normalità – denuncia Montenegro – che la libertà si tramuti in violenza. Aumentano le aggressioni verbali e fisiche tra le mura di casa. Il disagio registrato in questi giorni di fermo sanitario sta evidenziando la fragilità di molte relazioni familiari improntate da tempo al “mordi e fuggi”, diventa sempre più difficile guardarci negli occhi, condividere gli spazi; per molti la casa resta solo un parcheggio di breve durata… eravamo e siamo come isole in piccoli mari; molto e sempre attenti ai social, dai quali ormai dipendiamo e che orientano le nostre scelte se non addirittura la nostra vita, e poi incapaci di accorgerci delle necessità dei più vicini o di ascoltare il proprio familiare, coniuge, figlio, genitore che sia, se non addirittura ci sentiamo infastiditi dalla sua presenza accanto a noi».

La nostra libertà personale è invece dipendenza. «Ci si ammazza e si ammazza – prosegue l’arcivescovo – per un “gratta e vinci”, che poi è sempre un “gratta e perdi”; ci si gioca la pensione, lo stipendio e spesso qualcosa in più… quello che era sembrato un gioco non lo è più e così ti porta via soldi, serenità, affetti». Una libertà che ci ha portato a rapinare e violentare la natura e la città. «Deturpare le nostre città – dice Montenegro – non è una bravata o semplice noncuranza, è disprezzo per la bellezza e per i cittadini. Ridurre campagne e carreggiate, slarghi di vie urbane ed extraurbane, a discarica, è un’azione distruttiva, è un’offesa a Dio creatore, un oltraggio alla memoria di chi si è impegnato seriamente perché noi vivessimo meglio di come hanno vissuto le generazioni precedenti».

Un territorio, il nostro, tormentato da vecchie e nuove criticità. «Giustamente – prosegue l’arcivescovo – protestiamo per la noncuranza della nostra viabilità; ci lamentiamo per la qualità e il costo dei servizi idrico, per lo smaltimento dei rifiuti… ma solo ora ci accorgiamo dei tagli fatti alla sanità e l’emergere di quelle sacche di povertà nelle quali ingrassano le mafie e le loro consociate. In un territorio sguarnito di strutture aziendali e incapace di sfruttare le ricchezze che possiede (turismo e agricoltura) diventa sempre più profonda e sanguinante la piaga del lavoro nero, e dell’illegalità, questa non presenta mai i conti ai più forti, ma ai più fragili, a chi non ha tutela, né voce».

E poi un pensiero a chi in questi giorni sta ritornando alla casa del Padre «in questa notte santa e particolare, in cui tanti fratelli negli ospedali e nelle case sono inchiodati con te sulla croce dal virus o muoiono soli senza neppure lo sguardo o la carezza di una persona amata – tu avesti quello di Maria tua Madre – non vogliamo dire che sei la nostra “ultima spiaggia”, né colui su cui proiettare le nostre paure, ma che sei la nostra speranza, la nostra forza, nella paura e nella morte».

Ed a concludere il messaggio una preghiera a Dio «Signore Dio non sei tu a sconvolgere le leggi del creato e non vuoi sostituirti a noi creature, né agire come “tappabuchi” delle nostre inadempienze e omissioni senza fine.
Signore, credo in Te, che non sei un “dio-spray” da usare per cancellare il male odore dei nostri vuoti di umanità; Tu, Signore, con delicatezza proponi il tuo amore e la tua misericordia, non sei tu a mandare virus e pestilenze, ma sogni che tutti noi, torniamo a essere ciò che siamo e dovremmo essere: fratelli-sorelle. Signore, credo in Te, che non sei il “dio statuina”, da far scendere dagli altari e portare in processione al momento del bisogno.  Sbrigandoti come una faccenda tra le tante. Tu sei Padre, buono, che non attendi ma corri incontro ai figli prodighi, e sorridi sentendo i nostri ipocriti discorsetti travestiti di preghiera coi quali ci autoassolviamo».