Anche la nostra provincia pagò un elevatissimo contributo di sangue durante la guerra civile che dal 1943 al 1945 infiammò l’Italia settentrionale e che si concluse con la liberazione dell’intero territorio italiano dall’occupazione delle truppe tedesche e con la definitiva rimozione del regime fascista che, per un ventennio, aveva governato il nostro Paese.
Malgrado il territorio agrigentino in particolare, ma anche la rimanente parte della Sicilia, non fossero stati direttamente interessati dai combattimenti, numerosi furono gli agrigentini che si ritrovarono coinvolti – per scelta o perché costretti dalle circostanze – da una parte o dall’altra, e molti di essi persero la vita spesso in età ancor giovanissima.
È difficile tuttavia stabilire quanti furono i Caduti, malgrado gli sforzi che dalle famiglie vennero compiuti, negli anni successivi alla guerra, soprattutto per trovare i resti di quanti vennero dati per dispersi e dei quali non si ebbero poi più notizie.
Tra coloro dei quali invece si ha maggiore dovizia di particolari circa la drammatica fase della morte, vi è senza dubbio il giovanissimo carabiniere Calogero Graceffo, la cui storia in qualche modo richiama alla mente quella del brigadiere dell’Arma Salvo D’Acquisto che si fece fucilare per salvare alcuni ostaggi che i militari tedeschi volevano uccidere per ritorsione a seguito di un attentato che avevano subìto. Graceffo era agrigentino ma prestava servizio a Iesi dove per molti anni la popolazione locale lo ricordò per la sua disponibilità e le sue doti umane. Erano anni difficili e lui si adoperava parecchio per alleviarne le sofferenze. Dopo l’8 settembre rifiutò di collaborare con i tedeschi ed entrò a far parte di una banda di partigiani. Venne sfortunatamente catturato e torturato, colpito più volte con il calcio del moschetto ed alla fine fucilato insieme ad altri sei partigiani originari di Iesi. Quest’ultima città dedicò un cippo marmoreo a tutti e sette, compreso Graceffo al quale ad Agrigento venne anche dedicata una strada nelle adiacenze del campo sportivo.
Ma è doveroso parlare anche del racalmutese Luigi Scimé, comandante delle colonna che liberò la città di Mondovì. Quest’ultima municipalità gli dedico l’aula consiliare che ancora oggi è intitolata a lui.
Numerosi gli altri Caduti tra le fina di quanti si opposero alla Repubblica Sociale ed ai tedeschi: dal giovane aviere di Aragona Giovanni Volpe a Luigi Narbone di Canicattì, fucilato dai militari germanici il 22 agosto 1944 in provincia di Pistoia. Di Canicattì erano anche Giuseppe Argento, impiccato il 22 agosto 1944, e Gioacchino Orlando, morto in combattimento a Casale Monferrato. Gli agrigentini Alfonso Piazza e Carmelo Forte vennero fucilati il primo per rappresaglia a Modena il 7 novembre 1944, il secondo il 25 settembre 1943. Stessa sorte subirono i soldati ventenni Gerlando Mandracchia di Agrigento e Giovanni Gallo di Favara il giorno 1 giugno 1944. Sfuggi alla stessa sorte il soldato Antonino Amato, anch’egli agrigentino, il quale tuttavia poi cadde in combattimento. Gli venne assegnata la medaglia d’oro al valore della resistenza alla memoria, ma il riconoscimento non venne consegnato perché non si trovarono più i parenti, malgrado gli sforzi per reperirli.
Ed ancora tra le vittime Vincenzo Lo Cicero di 44 anni, ucciso il 2 marzo 1944, Pietro Marchese di Licata, ucciso l’11 aprile 1944, il giovane Alfredo Capitano di 22 anni, mitragliato da una sentinella tedesca nel campo di sterminio a Berlino proprio il 25 aprile 1945, l’impiegato agrigentino Arturo Gatto di 34 anni, fucilato al poligono di tiro di Bologna il 23 settembre 1944, autore di una commovente lettera al figlio prima di essere passato per le armi.
Ci fu anche chi sopravvisse. Molti andarono ad ingrossare le fila dell’Associazione Partigiani d’Italia svolgendovi intensa attività, come Gildo Moncada. Questi abitava con la famiglia ad Agrigento, ma nell’imminenza dello sbarco americano il papà, per proteggere la famiglia dagli imminenti combattimenti, vendette tutto e si trasferì al nord. Pensava di portare i suoi cari al sicuro invece li portò proprio laddove si sarebbe scatenata la bufera. Il giovane Gildo, così, appena sedicenne si ritrovò tra i partigiani a combattere per la Liberazione d’Italia. Altri svolsero intensa attività politica coma Olindo Carubia e Salvatore Di Benedetto, per anni parlamentari del Partito comunista italiano.
Si diceva che il tributo di sangue venne pagato in entrambe le parti. Anche tra quanti si ritrovarono a combattere tra i militari della Repubblica di Salò vi furono parecchie perdite: la sola città di Agrigento, stando agli elenchi ufficiali dei Caduti repubblichini, ebbe ben diciotto morti, mentre altri comuni della provincia dovettero piangere la fine di altri loro figli che loro in quel momento dovettero ritenere la migliore possibile ma che in realtà si rivelò drammaticamente sbagliata.
Salvatore Fucà