Angelo Ficarra, spirito e cultura al servizio della Chiesa

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La Comunità di Canicattì si appresta a fare memoria di mons. Angelo Ficarra, arciprete di Canicattì (1919-1932) e Vescovo di Patti (1936-1957). (vedi qui) . In occasione dell’anniversario della sua ordinazione episcopale, avvenuta il 22 novembre 1936 nella cattedrale di Agrigento, pubblichiamo un saggio biobibliografico sul vescovo Ficarra di Vincenzo Lombino, docente di Patristica presso la Facoltà Teologica “San Giovanni Evangelista” di Palermo lo Studio Teologico “San Gregorio Agrigentino” di Agrigento.

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Le vite degli uomini di scienza sono generalmente abbastanza semplici; tuttavia spesso il loro percorso si svolge in modo tormentato e a volte possono avere delle conclusioni imprevedibili e più o meno drammatiche. Quella di Angelo Ficarra ne è un modello e una prova di gran fama. Studioso di patrologia, il suo itinerario scientifico assunse l’andatura di un fiume carsico, con un esordio lineare e brillante, poi momenti di silenziosa gestazione, seguiti da apprezzate pubblicazioni, per riversarsi infine, ed estinguersi del tutto nel suo aspetto di ricerca, nelle grandi acque dell’attività pastorale di vescovo diocesano di Patti. Le sue tre pubblicazioni patristiche su San Girolamo, alle quali va aggiunta una traduzione divulgativa di Agostino, benché esigue come numero, gli valsero il riconoscimento di esperto nazionale dello Stridonense, al punto di ricevere da Giovanni Gentile l’incarico di redigere la voce corrispettiva sull’Enciclopedia Italiana Treccani (vol. XVII, 1928). Più che per i suoi meriti di studioso, la notorietà di Angelo Ficarra è però legata alle tristi vicende degli ultimi anni della sua vita, che inaspettatamente si chiuse come vescovo in partibus infidelium, rese famose da Leonardo Sciascia, che nel libretto di successo, Dalla parte degli infedeli, le ricostruì imprimendo loro l’accelerazione d’andatura di un romanzo poliziesco e con una certa faziosità anticlericale (A. Corsello). Nella realtà della sua vita, di travolgente, a parte le amarezze degli ultimi anni che certo lo macerarono alquanto, Angelo Ficarra ebbe solamente la sua attività pastorale, dalla quale grazie alle sue alte qualità intellettive e alle sue doti ascetiche riuscì a ritagliare il tempo necessario per le sue pubblicazioni.

Nato a Canicattì il 10 luglio 1885 e ordinato sacerdote diocesano il 12 luglio 1908, la sua prima pubblicazione, La posizione di S. Girolamo nella storia della cultura, vol. I, giunse nel 1916, a conclusione dei suoi studi universitari a Palermo e su sollecitazione del prof. Vincenzo Ussani, che era stato suo docente, insieme ad altri insigni professori, come Nicola Zingarelli, Giovanni Gentile, Alfredo Cesareo, e che lo aveva diretto nella tesi di laurea, discussa il 27 giugno del 1914. Nella prefazione Ussani riconosceva il valore del volume, come «solo un frammento della sua poderosa tesi di laurea», che se pubblicata per intero «si troverebbe nel libro delineata la storia di tutta la cultura ecclesiastica» (p. V). La prefazione lusinghiera di Ussani non è senza giusti fondamenti, ma la designazione del volume come «storia della cultura ecclesiastica» ci rimanda al clima culturale che tra la prima e la seconda decade del XX secolo si respirava in Italia intorno agli studi di letteratura cristiana antica. Fino ad allora la cultura classico-umanistico d’Europa e il predominio scientifico della filologia tedesca avevano negato un valore letterario e un’autonomia a questa branca della letteratura antica. Essa era considerata in blocco espressione di decadenza e gli scritti degli autori cristiani antichi, ai quali si dava pur valore solo per il pensiero dottrinale e non per la forma, erano interessanti nella misura in cui presentassero somiglianze con la letteratura classica. Fino alla fine della seconda decade del secolo, ogni tentativo di promuovere la produzione letteraria cristiana antica alla dignità artistica di letteratura fu destinata al fallimento, come dimostra la vita della rivista Didaskaleion (ed. SEI), fondata a Torino da Paolo Ubaldi e da Sisto Colombo, nel 1912, primo periodico italiano dedicato alla filologia cristiana greco-latina, passata nell’indifferenza totale degli studiosi, fino al punto, per ammissione dello stesso Colombo, di «morire con rassegnazione» nel 1917. Inserito in tale clima, il volume di Ficarra su Girolamo può definirsi di avanguardia, in quanto esso, seppur concentrato sulla figura del grande dalmata, di cui analizza la sua formazione culturale (libro I) e il suo pensiero (libro II), tocca quella nevralgica relazione. Come egli stesso chiarisce nell’introduzione, sua intenzione non fu quella di «esaminare unicamente in se stessa l’opera di S. Girolamo e di scrivere un capitolo più o meno lungo di storia letteraria o di patrologia, ma piuttosto di mettere in luce il posto che a lui compete nel movimento generale della cultura e quindi studiare non solo gli aspetti, ma anche la genesi e l’influenza della sua cultura». Il metodo per raggiungere tale obiettivo fu quello di chiarire Girolamo attraverso i suoi stessi scritti, che così vennero analizzati con meticolosa lettura. Il libro, che di tale lavoro ne porta una chiara impronta per l’accumulo di passi citati, negli anni venti, rappresentò «un prezioso repertorio metodico della cultura geronomiana» (Vaccari).

Negli anni successivi, Angelo Ficarra fu assorbito dall’insegnamento in vari licei siciliani e dalle molte attività pastorali, culminate con la nomina gravosa di arciprete del suo paese natio (21 maggio 1919). Nella frequentazione degli ambienti culturali e cristiani agrigentini, si rese conto che la letteratura cristiana antica andava non solo coltivata negli atenei, ma anche divulgata presso il popolo, allo scopo di promuovere la formazione di un’autentica cultura cristiana, solidamente fondata nelle sue antiche radici teologiche. Il «poco studio degli autori cristiani» antichi presso i ceti più istruiti del popolo e la necessità di «risalire alle sorgenti» della spiritualità cristiana lo spinsero a tradurre e pubblicare la Lettera a Proba di Agostino (La preghiera cristiana. Lettera di S. Agostino a Proba Faltonia. Introduzione, traduzione e note, Girgenti 1919), che doveva essere il primo libretto di una collana divulgativa di opere agostiniane, alla quale avrebbe dovuto collaborare anche il suo concittadino, prof. C.A. Sacheli (1890-1946), filosofo e pedagogista, docente in diversi atenei italiani e autore di parecchie pubblicazioni. Nel 1920, anno in cui si celebrava il quindicesimo centenario della morte di S. Girolamo, giunse la seconda pubblicazione su San Girolamo, il Florylegium Hieronymianum, una raccolta di passi scelti dalla vasta produzione del dottore dalmata, che «doveva servire per le scuole superiori, le Università e Seminari che intendessero dedicare una parte del loro programma di letteratura latina alla conoscenza e agli scritti» di Girolamo (Mons. Federico Tedeschini, presidente della commissione incaricata di coordinare le iniziative per la celebrazione). Divisa in cinque parti, scritti parenetici, epitaffi, scritti storici e teologici, polemici, esegetici, corredata da brevi note esplicative in latino, l’antologia di testi era riuscita «come un quadro dai vivi colori» (F. Ramorino, in praef., X) del grande dalmata. Il volume ebbe l’apprezzamento di numerosi studiosi (Vaccari, 1921) e servì anche come testo base per un corso sullo San Girolamo, tenuto dal prof. Giri alla Sapienza di Roma e, di certo, gli valse l’incarico di redigere la voce Girolamo in Enciclopedia Italiana Treccani XVII (1928).

Nel 1930, a distanza di quattordici anni dal primo, Ficarra pubblicò il secondo volume su La posizione di S. Girolamo nella storia della cultura. In quei decenni il clima culturale attorno alla letteratura cristiana antica era però notevolmente cambiato. La concezione «biologica» della storia della letteratura classica (nascita, maturità aurea, declino) era andata in crisi per le obiezioni sia di studiosi che, assolutizzando criteri di forma e trascurando l’attenzione ai contenuti, negavano una distinzione tra letteratura greca e latina e letteratura cristiana, sia di coloro che invece, per ragioni opposte, facevano risaltare l’aspetto di originalità della letteratura cristiana. Nel dibattito culturale del secolo, la relazione tra Antichità e Cristianesimo continuerà ad essere al centro delle discussioni tra le varie tendenze scolastiche e se la situazione oggigiorno si sta risolvendo gradatamente, lo si deve alla gran mole di studi filologici che hanno visto la luce nel secolo scorso.

In tale graduale evoluzione, il secondo volume di Ficarra si pone tra quegli studi che stanno a monte di essa. Suddiviso in due libri, esso ha infatti il pregio di scendere più a fondo sulle questioni formali, con un’analisi dello stile, della sintassi e soprattutto delle figure retoriche della produzione di San Girolamo, per mostrare alfine l’aspetto multiforme della sua anima, che si rivela nella capacità di portare una sostanziale fedeltà alla lingua latina e al contempo in una grande libertà di parole e sintassi per quelle idee nuove che tumultuavano nella sua mente (p. 45). Dello studio, la critica apprezzerà la parte dedicata alla retorica, sia per la novità del campo indagato sia perché l’uso della retorica antica permetterà di svelare la grande personalità di S. Girolamo, che ha operato in se stesso la sintesi di due universi culturali e religiosi (Vaccari, 1930). In breve, lo studio, il cui interesse ultimo grava sull’integrazione tra interiore ed esteriore di Girolamo, si situa tra quei primi studi che «non vedono una contrapposizione tra i due mondi o, per dirla in termini diversi, [che credono che] non si possa parlare di una cultura alternativa cristiana […] Il rapporto tra le due realtà si configura in maniera differente: si tratta di un faticoso e tormentato processo di confronto e di lenta penetrazione del messaggio cristiano nel mondo greco e latino, che si svolge tra tensioni anche forti, che hanno un carattere dialettico, spesso polemico» (Siniscalco, 18, in Hagendahl).

Di tutt’altro genere è la sua pubblicazione postuma, Le devozioni materiali, dove si occupa di comportamenti socio-religiosi siciliani. In verità l’opera mantiene un doppio legame con la produzione scientifica su S. Girolamo, sia per il suo metodo analitico dei fenomeni, condizionato da una mente abituata a certi passaggi caustici degli scritti geronomiani sia perché il filo rosso che tiene unita la congerie di riflessioni, quasi trasferendo in ambito socio-religioso la problematica relazione tra cristianesimo e cultura antica, mira a realizzare un «equilibrio tra cultura laica e cultura religiosa» (Cipriani, 17, in Ficarra, Le devozioni materiali). Certe affermazioni radicalmente critiche nei confronti delle devozioni popolari presenti nello scritto, che risale al 1923, quando cioè ancora non si era spenta la questione modernista, hanno suscitato qualche interrogativo su un eventuale consenso di Ficarra alle tesi moderniste, che va però scartato senza dubbi. Ad Agrigento e, quasi generalmente, in Sicilia e in Italia, nonostante i moniti della gerarchia, il modernismo non si presentò nelle sue vesti cattedratiche ma piuttosto di esso se ne raccolsero le inquietudini di fondo che spinsero all’esigenza di un rinnovamento pastorale e più in profondità dall’«aspirazione di un ritorno alle fonti» (De Gregorio 2000, 9-16; Tedeschi, 52). Ed entrambe le esigenze, in verità, sono ben presenti come linee direttive dell’attività pastorale di Ficarra.

Divenuto vescovo di Patti nel 1936 e preso come modello di vescovo Agostino, secondo il triplice profilo dottrinale, spirituale e pastorale (Orlando, 164, in Sidoti), Ficarra si impegnò immediatamente nel rinnovare capillarmente la catechesi diocesana. L’esigenza di un rinnovamento della catechesi presso la parrocchia era stata di già avvertita dall’episcopato siciliano, che in un concilio del 1920 aveva obbligato i parroci alla catechesi ai fedeli e non aveva cessato negli anni successivi di insistere perché venissero sfruttati tutti i mezzi per renderla efficace (M. Stabile, in La Chiesa di Sicilia, 178-180). Da parte sua, nelle lettere pastorali, dove le citazioni patristiche sono ovviamente frequenti e da dove traspare una spiritualità cristocentrica ed eucaristica, fondata sul primato della Parola di Dio, Ficarra esorta i parroci a una catechesi integrale capace di andare incontro alle esigenze di quel critico momento storico, in cui si assisteva a una diffusione della cultura presso masse sempre più vaste: «il Clero non può mettersi fuori di questo movimento generale degli spiriti, senza una parte non lieve di quell’influenza salutare, che invece può ottenere ed esercitare presentandosi al mondo con il doppio titolo del sapere e della virtù» (Prima lettera pastorale, in V. Restivo, 47). La frequentazione da studioso dell’epoca di crisi vissuta da Girolamo ha certamente reso sensibile il vescovo Ficarra alla necessità di mediare il cristianesimo nella nuova società che si stava formando nei suoi anni di episcopato. In periodo post-bellico, quando diventa più urgente l’impegno per la ricostruzione, in linea con il rinnovamento ecclesiale italiano, il presule di Patti cura particolarmente il laicato, specie con un itinerario catechetico dottrinale e sociale, con l’istituzione delle «Associazioni cristiane dei Lavoratori italiani», che mirano a formare laici capaci di fecondare con la loro fede le varie problematiche sociali, con l’avvio in diocesi delle «Settimane sociali», sostenendo le varie iniziative dell’Azione Cattolica. Di certo, dalla sua particolare attenzione data alla cultura derivano alcune prese di posizione “fuori del coro” dell’episcopato siciliano, quali la distinzione costante nel suo magistero «tra servizio pastorale e impegno temporalistico» e la sua firma nel 1950 all’appello di Stoccolma, emanato dal Congresso mondiale della pace per la messa al bando della bomba atomica (Renda, in La Chiesa di Sicilia, 90; 108-109). Accusato di essere stato responsabile della disfatta elettorale del 1946 e del 1948 della Democrazia Cristiana nel collegio di Patti, dopo una serie di tentativi di richiesta di dimissioni volontarie per motivi di salute da parte del prefetto della Sacra Congregazione Concistoriale, fu prima esautorato da qualsiasi responsabilità pastorale per la nomina di un vescovo amministratore sede plena, e infine nell’agosto del 1957 fu tolto definitivamente ai fedeli della diocesi e trasferito in partibus infedelium, come arcivescovo di Leontopoli di Augustamnica. Secondo il suo stile di vita evangelica, sempre appassionato per la verità, pur non ribellandosi al provvedimento e convinto della falsità degli addebiti fattigli, chiese a lungo che gli fosse resa giustizia, ma non ottenne riscontro. Conformato mistericamente a Cristo, che «patì fuori della porta della città» (Eb 13,12), morì nel suo paese natale il primo giugno 1959.

  • Pubblicazioni di A. Ficarra: La posizione di S. Girolamo nella storia della cultura, vol. I, Sandron, Palermo 1916; vol. II, Montes, Agrigento 1930; Florylegium Hieronymianum, Pia Societas a S. Hieronymo nuncupata evangeliis italice pervulgandis, Augustae Taurinorum 1920; Il sentimento religioso e la sua missione educativa, Ribera 1911; La preghiera cristiana. Lettera di S. Agostino a Proba Faltonia. Introduzione, traduzione e note, Montes, Girgenti 1919; L’inno Akatistos, Montes, Girgenti 1920; v. Girolamo, in Enciclopedia Italiana Treccani XVII (1928);  Prima lettera pastorale alla diocesi di Patti, Agrigento 1936; Il concetto di Dio nell’estremo Oriente e nel mondo classico. Conferenze tenute da Mons A. Ficarra ai laureati di Agrigento nel 1935, Scuola Salesiana del libro, Palermo 1938; Le devozioni materiali. Psicologia popolare e vita religiosa in Sicilia, La Zisa, Palermo 1990; Lettere di direzione spirituale di mons. A. Ficarra alla signorina Antonietta Traina, a cura di D. De Gregorio, Agrigento 1990.