C’è qualcosa di strano nella vicenda che vede protagonista in questi giorni la Calcestruzzi Belice, azienda di Montevago che produce calcestruzzo preconfezionato e malte in tutte le loro forme.
Una ditta, confiscata all’imprenditore di Partanna Rosario Cascio, condannato per associazione mafiosa, che ha un fatturato annuo di un milione e duecentomila euro l’anno, che è gestita dall’Agenzia nazionale per i beni confiscati che viene dichiarata fallita, dal Tribunale di Sciacca, lo scorso 28 dicembre, per un debito di 30 mila euro contratto con l’Eni spa. Debito, sulla cui congruità si attende ancora il pronunciamento del Tribunale di Agrigento, non riconducibile all’amministrazione giudiziaria, ma proveniente da un periodo precedente, ancora prima che scattasse il sequestro, e che sembra non appartenere alla Calcestruzzi Belice ma ad un’altra impresa della holding di Rosario Cascio.
Ad oggi in una vicenda in cui lo Stato fa “guerra” a se stesso, licenziando 11 lavoratori e facendo chiudere una ditta sana e produttiva in una terra in cui il lavoro manca e la percentuale di emigrazione raggiunge percentuali spaventose.
“L’Agenzia nazionale per i beni confiscati ha proposto reclamo avverso alla dichiarazione di fallimento della Calcestruzzi Belice deciso dal Tribunale di Sciacca davanti alla corte d’Appello, che verrà esaminato il 2 febbraio. Nel frattempo, visto che l’attività di estrazione è boccata, abbiamo dato autorizzazione a continuare a vendere il materiale”. A dirlo è il direttore dell’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, Umberto Postiglione. “Le caratteristiche di questo fallimento sono singolari – commenta Postiglione – tutto il debito per il quale la magistratura ha stabilito che l’azienda va fallita è di 30 mila euro, debito che la Calcestruzzi prima del sequestro aveva nei confronti dell’Eni, la quale si è sottoposta a verifica dei crediti. Il credito è molto modesto per mandare a gambe all’aria una struttura”.
Intanto nella giornata di mercoledì 11 gennaio dopo che i lavoratori si erano costituiti in assemblea permanente sono arrivate le lettere di licenziamento per “giustificato motivo”. I lavori di estrazione della cava sono state interrotte essendo venute meno le autorizzazioni alla estrazione da parte dell’Ente minerario e dunque lo stop ogni attività lavorativa. I lavoratori hanno deciso di occupare la struttura in attesa del pronunciamento del 2 febbraio che dovrebbe confermare o meno la dichiarazione di fallimento.
“La Calcestruzzi Belice è un’azienda sana – commenta Margherita La Rocca Ruvolo, sindaco di Montevago – che ha un volume d’affari superiore al milione e duecentomila euro l’anno, non è possibile che l’agenzia per i beni confiscati non trovi una soluzione, lasciando undici padri di famiglia in mezzo la strada”. Il sindaco La Rocca ha avuto un incontro con la Commissione nazionale antimafia dalla quale ha avuto rassicurazione in merito all’esito della vicenda ma le lettere di licenziamento inviate ai lavoratori sembrano indicare tutt’altra strada.
Ma qualora l’Agenzia nazionale per i beni confiscati dovesse vincere l’appello avverso la decisione del Tribunale di Sciacca cosa accadrebbe? Non esistendo più la Calcestruzzi Belice srl l’estrazione e lavorazione del materiale della cava Carbonaro Cicchitello verrebbe affidata ad un’altra società. Un danno non indifferente per il territorio ma soprattutto per lo Stato che invece di garantire l’occupazione e la salvaguardia di beni sotratti alla malavita sembra quasi deporre le armi.
Ci auguriamo che la vicenda della Calcestruzzi Belice si concluda positivamente per i lavoratori ma soprattutto per l’immagine di uno Stato che dovrebbe difendere e tutelare i suoi cittadini ma che sembra non essere stato così in questa occasione.