“Abitare –Rendere credibile con la vita l’amore incredibile del Vangelo”. E’ attorno a questo tema che si sono sviluppati i due, intensi, giorni di lavoro del campo estivo per adulti e famiglie di Azione Cattolica, tenutosi, dal 2 al 4 agosto, in un noto hotel di Enna a cui hanno partecipato oltre 150 persone.
Una presenza numerosa favorita dal fatto che ad organizzare l’evento sono state, in modo unitario, le diocesi di Agrigento ed Enna, ma, soprattutto, dalla qualificata presenza, per l’intera durata del campo di padre Raniero Cantalamessa, noto Frate Minore Cappuccino, Predicatore della Casa Pontificia. Al campo non ha fatto mancare la sua presenza anche l’arcivescovo di Agrigento, il card. Francesco Montenegro, che, nel pomeriggio di sabato, ha partecipato all’incontro interreligioso, moderato da Nicoletta Averna, sul tema: “La città che vorrei: la ricchezza della diversità”, al quale hanno anche partecipato l’Imam Kheit Abdelhfid e il Reverendo buddista Gyosho Morishita.
Un incontro nel corso del quale sono emersi diversi splendidi concetti quali quello secondo cui la ricchezza della diversità costituisce l’armonia, la bellezza dell’universo che supera il concetto di bene; o quello relativo all’importanza dell’ascolto che implica l’accoglienza dell’altro (Nicoletta Averna). Nel suo intervento il cardinale Montenegro ha detto che, “il Vangelo deve incarnarsi nella vita, deve diventare vita; tutto ciò che riguarda l’uomo – ha affermato – appartiene alla Chiesa, che non può delegare ad altri l’amore per l’uomo e per i poveri in particolare. Da ciò la necessità di un Vangelo che ci porti a guardare i volti degli altri, per abitare la città da veri cristiani”.
L’Imam, pur ammettendo la diversità tra popoli e religioni, ha sottolineato che “tutti facciamo parte di un’unica famiglia che è quella umana. Per cui non bisogna mai avere paura dell’altro perché anche ognuno di noi è l’altro. Dio ci ha fatti diversi, ma capaci di saper vivere assieme, allontanando ciò che ci divide ed avvicinando ciò che, invece, ci unisce. Adorare Dio significa aiutare il prossimo, vedere nell’altro l’operato di Dio sulla terra”
Il reverendo buddista, si è soffermato sul significato di coltivare la pace, “per arrivare alla quale occorre sapere vivere con civiltà, che significa non uccidere altri, con rispetto reciproco e senza costruire armi che portano alle guerre, all’odio e alla distruzione”.
A parte i momenti di gioioso svago tenutisi nelle tarde serata di venerdì e sabato, domenica mattina l’assemblea ha vissuto un altro importantissimo momento dato dalla tavola rotonda sul tema: “La città che vorrei: dal pregiudizio all’integrazione”, i cui protagonisti sono stati gli ospiti che hanno portato, senza alcuna remora, la loro testimonianza sulle non facili esperienze di vita vissute e sul come hanno saputo reagire. Hanno preso la parola due giovani ragazze con alle spalle non facili esperienze di vita in famiglia, due giovani extracomunitari, provenienti dalla Nigeria, ospiti del centro di accoglienza di Pian del Lago di Caltanissetta, accompagnati da una suora indiana, Suor Vera; un ex detenuto, accompagnato dalla moglie e due fratelli, entrambi diversamente abili, accompagnati sul palco dai genitori e dalla sorella. Tutti, nonostante le avversità, hanno saputo testimoniare le loro non facili esperienze di vita, e lo hanno fatto con il sorriso sulle labbra, un sorriso che sa di speranza per il futuro. Per l’occasione non è mancata la testimonianza assistente diocesano dell’AC di Agrigento, don Carmelo La Magra e parroco di Lampedusa, al centro della cronaca per il fenomeno degli sbarchi, il sacerdote (a detta di padre Cantalamessa) che, con la sua opera e testimonianza a difesa degli immigrati, ha saputo fare piangere Papa Francesco.
Il protagonista più atteso di questo campo è stato padre Raniero Cantalamessa. Il primo intervento dell’illustre ospite è stato quello dato dalla relazione sul capitolo V della “Lettera a Diogneto”, dedicato al “Paradosso della vita cristiana”, iniziando l’intervento, partendo dell’attualità della lettera, in base alla quale bisogna sempre partire dall’esame di se stessi, e capire come la propria coscienza si è formata al cospetto di Dio. Quanto all’osservanza dei precetti, quali perdonare, dar da mangiare, seguire gli insegnamenti del Vangelo, secondo padre Cantalamessa bisogna arrivarci attraverso quell’amore che ci è stato riversato con il battesimo. Rispondendo alla domanda su quali strumenti e mezzi un laico maturo deve utilizzare per il cammino di evangelizzazione, la strada indicata è stata quella della testimonianza, in quanto il mondo non ha bisogno di maestri ma di testimoni, sicuro del fatto che la testimonianza data è letta anche da chi non l’ha richiesta in modo specifico. Le conversioni, ha sottolineato padre Cantalamessa, sono il frutto di incontri con Gesù non di una predica. Relazionarsi con Cristo, testimoniarlo nella vita di ogni giorno, ecco il segreto per una vera vita da cristiani.
Sabato 3 agosto, padre Cantalamessa ha tenuto la “lectio divina” sul brano del Vangelo di Mt. 25, 31-46, “Lo avete fatto a me”. Una lectio che ha attirato, al massimo, l’attenzione dei partecipanti al campo, e non poteva essere diversamente.
Analizzando il brano, se ne ricava che Gesù si proclama il giudice supremo della storia e che l’autorità dello stesso brano sta nell’annuncio di fede meravigliosa, che va al di là dell’aspetto caritativo. Il messaggio di fondo che se ne ricava è che il più grande peccato che un cristiano possa commettere verso i poveri, è quello dell’indifferenza, per cui la prima cosa che da cristiani siamo chiamati a compiere è quella di cambiare l’atteggiamento interiore nei loro confronti, fare in modo di accorgerci dei poveri. “L’avete fatto a me… non lo avete fato a me”. Parole molto impegnative e profonde, che danno vita ad un problema cristologico, essendosi Cristo incarnato si è identificato con i poveri; Gesù sulla croce, infatti, rappresenta il prototipo di tutti i disprezzati. Tutto questo discorso porta ad una Chiesa dei poveri che è molto più vasta della Chiesa istituzionale, con un significato teologico profondo, molto di più che di quello sociologico. Da ciò ne deriva anche il fatto che il Papa è il vero pastore dei poveri, i quali a loro volta sono come il Papa nel senso di vicari di Cristo. A questo punto la domanda che ci si spone è quella del come tradurre in pratica l’interesse del cristiano per i poveri. Padre Raniero ha indicato tre verbi: amare, soccorrere ed evangelizzare i poveri, con ampie spiegazioni su ognuno dei tre verbi usati.
Un’esperienza, sicuramente molto positiva, quella del campo unitario vissuto ad Enna tra gli adulti e le famiglie di Azione Cattolica delle diocesi di Agrigento e Ragusa, qualcosa che a detta del nostro Vescovo, ha del “miracoloso”, in quanto finalmente ci fa capire che la Chiesa è una, che va molto al di là dei nostri abituali confini parrocchiali, cittadini, territoriali, diocesani. L’universalità della Chiesa, la bellezza dello stare insieme per testimoniare Cristo in ogni momento, in ogni angolo in ogni situazione della nostra vita.
Merito alle due equipe diocesane guidate da Giovanni Gueli e Massimo Alfefieri, ed anche dai coordinatori dei vari incontri, quali, oltre a Nicoletta Averna, il nostro Giovanni Tesè e Francesco Arancio, Presidente diocesano dell’Ac di Ragusa.
Antonio Francesco Morello