Si è tenuta, questa sera, sabato 8 maggio, vigilia della beatificazione del Servo di Dio, Rosario Angelo Livatino,nella Chiesa San Domenico di Canicattì, parrocchia del Giudice, la “Veglia di preghiera diocesana nella vigilia della Beatificazione”, presieduta dall’Arcivescovo coadiutore mons. Alessandro Damiano. (vedi il video)
“Sono meravigliosi i giovani”. Ha esordito così la riflessione mons. Damiano. “Spetta a loro – ha proseguito – contrastare quelli che vorrebbero imporre una idea diversa, una ipoteca sul nostro futuro (…) A loro dico di continuare sulla retta via, di continuare sulla loro strada seguendo l’esempio di quelli che meritano di essere seguiti, di quelli che sono onesti, di quelli che hanno il senso della giustizia. Come il mio Rosario”. (in A. Cavadi, Rosario Livatino, un laico a tutto tondo, Di Girolamo, Trapani 2021, 68-69). Parole di speranza, parole di Rosalia Livatino (mamma di Rosario n.d.r). Una mamma – ha continuato – che fa una esperienza terribile: sopportare la morte, contrassegnata dalla violenza, del frutto del proprio grembo. Tuttavia parole di speranza”. E ricordando la beatificazione del giorno successivo in Cattedrale ha detto: “Domani alla comunità dei credenti, agli uomini e alle donne di buona volontà, a coloro che hanno fame e sete della giustizia, sarà dato in Rosario un modello. Diventerà, più di quanto già non sia, fratello maggiore nella fede, testimone credibile che ha marchiato con il sangue — il proprio — il suo servizio alla giustizia: per questo perseguitato, per questo beato. Una eredità di cui la Chiesa agrigentina, la comunità canicattinese e tutte le comunità della nostra Diocesi, potranno andare orgogliose. Ma per questo – ha ricordato – sarà necessario che ci impegniamo a investire l’eredità di Rosario Livatinoin vita nuova, in un cammino di liberazione dal dominio del male: quel male che si manifesta nelle logiche mafiose e affascina e seduce come il tentatore che avvicina Gesù nel deserto. Sull’esempio di Cristo Signore resistiamo saldi nella fede. Rosario, beato per i credenti, uomo giusto per la società civile, ci è offerto come “profezia di una resistenza alla mafia pensata e praticata con competenza, sacrificio e impegno, vissuta con le armi della legalità e della giustizia: armi del bene di un magistrato umile ma non remissivo, giusto e discreto, che non è rimasto a guardare dal balcone, come direbbe papa Francesco”… Facciamo attenzione – ha ricordato l’Arcivescovo – a non ridurre la profezia alla capacità di prevedere il futuro, come spesso avviene nel nostro linguaggio corrente. Già per Israele, ma a maggior ragione per noi cristiani a cui Gesù ha mostrato il volto e il cuore del Padre, il profeta è colui che legge la storia con gli occhi di Dio e agisce di conseguenza. Per questo Rosario è profeta in senso stretto; e lo è prima ancora che essere martire. Anzi, Rosario è stato “anche” martire, proprio perché “prima” – non solo in senso temporale, ma nel suo essere più profondo – è stato profeta. È bene ricordare – ha continuato – che anche noi, per il battesimo che abbiamo ricevuto, siamo costituiti profeti e siamo investiti della missione profetica nel mondo, per inscrivere la legge di Dio nella vita della città terrena, nel nostro territorio, nel nostro vissuto quotidiano. Lì, nei luoghi concreti che abitiamo, siamo profeti quando facciamo nostra la logica del Vangelo di Gesù Cristo, di cui la logica mafiosa è l’esatto contrario e la più aberrante negazione. “Cristo ci forma secondo la sua immagine — scrive san Cirillo Alessandrino — in modo che i lineamenti della sua divina natura risplendano in noi attraverso la santificazione e la giustizia e la vita buona e conforme a virtù… La bellezza di questa immagine risplende in noi che siamo in Cristo, quando ci mostriamo uomini buoni nelle opere” (cf. Vs 73)”.
Mons. Damiano ha proseguito la riflessione, citando un celebre editoriale, pubblicato sulle pagine de “L’Amico del Popolo” nel 1982, di mons. Domenico De Gregorio, già direttore del nostro settimanale: “… Quivi è perfetta mafia” – ha detto – scriveva nell’82 in un editorialeDomenico De Gregorio, figlio di questa terra e presbitero di questa Chiesa. “Un pezzo memorabile contro la mentalità mafiosa tanto diffusa e difficile da estirpare, che sta alla radice di ogni delitto”. È un contributo – ha detto – che andrebbe riletto, meditato e — perché no? — tenuto in conto per un esame di coscienza personale e comunitario, facendo in modo che la denuncia non rimanga sterile nella lettera, ma si manifesti nell’azione qui e adesso. Chiude De Gregorio: “Ogni volta che non compi il tuo dovere e disprezzi il debole e ti chini al potente; per capriccio o pigrizia calpesti il bisognoso e lo esponi e costringi a spese, pericoli, perdita di tempo e ti fai pagare per ciò che, in forza del tuo ufficio e del tuo stipendio, sei obbligato a fare, scrivi che quivi è perfetta mafia”.
“Quando tocca a te, tocca a te”: sono le parole — semplici e disarmanti — di Piero Nava, il testimone oculare che ha permesso l’individuazione degli assassini di Rosario Livatino Così Nava, che da quel giorno ha dovuto rinunciare per sempre alla sua identità e alla sua vita, motiva la sua testimonianza, il suo non far finta di niente, il suo non girarsi dall’altra parte. Un atteggiamento che ha molto da dirci”. Ha ripreso anche le parole di mons. Montenegro alla sessione pubblica di chiusura del processo diocesano di canonizzazione, il 3 ottobre 2018: “Livatino per noi è il simbolo di una società cristiana che si vuole opporre al male e decide di sconfiggerlo con una vita buona animata dalla giustizia e dalla carità. In questo abbiamo ancora tanto da fare in termini di impegno e di formazione delle coscienze.
Il buon Dio – ha concluso – ci dia la grazia di guardare a Rosario Angelo Livatino come modello di vita buona secondo il Vangelo. Lo scrittore cristiano Tertulliano (155 – 230 circa), era fermamente convinto del positivo contagio del testimone-martire, al punto da scrivere: “Il sangue dei martiri è il seme di nuovi cristiani”.
Al termine della Veglia, insieme ai presbiteri di Canicattì e al sindaco Di Ventura ed alle autorità militari, si è recato presso la casa di Rosario Livatino per l’inaugurazione di una istallazione di luce sulla facciata, voluta dall’amministrazione e una visita all’appartamento che fu del giudice, custodito con cura e dedizione dalla signora Giuseppina Profita. Il vescovo ha potuto vedere la toga, del giudice e gli oggetti della vita quotidiana della famiglia Livatino.
Foto Gallery di Carmelo Petrone