Mons. Damiano: “Con Calogero, scendere in strada, per ascoltare nella storia la voce di Cristo”

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Domenica 4 luglio, “prima di San Calogero”, già alle 3 di notte i portatori del Santo erano all’opera per sistemare il tutto in piazza Stazione  – “Santuario a cielo aperto”, come l’ha definita mons. Damiano nell’omelia della Messa delle ore 9:00 – per l’inizio dei festeggiamenti in onore di San Calogero.  Nella consapevolezza che l’attuale  fase  pandemica  impone  scelte  condivise e al fine di venire incontro alle  legittime  richieste  dei  fedeli si è  individuato – come vi abbiamo scritto (vedi)  –  un  percorso condiviso  dalla Rettoria, dall’Associazione  dei  portatori  di S. Calogero, dalla Confraternita, dall’amministrazione comunale di Agrigento e che è stato, in fase preliminare, presentato alla Prefettura, Questura, Asp e rappresentanti delle forze dell’ordine. Tutto è andato secondo quanto previsto ed i fedeli hanno mostrato senso di responsabilità facendo proprie, le disposizioni. Come da tradizione la S. Messa delle ore 9.00, nella prima Domenica di San Calogero (XIV del T.O.) è stata presieduta dall’Arcivescovo.

Per mons. Damiano è stata la prima volta e, anche se in condizioni particolari, non ha voluto far mancare, il suo messaggio alla Città ed ai fedeli, accorsi numerosi tanti quanti la piazza poteva accogliere. Commentando la liturgia della Parola della Domenica  ha iniziato esordito citando le parole del Salmo:  «I nostri occhi sono rivolti al Signore, Come gli occhi dei servi alla mano dei loro padroni», perché- ha detto –  sappiamo che la nostra vita è nelle sue mani. E ce ne rendiamo conto soprattutto quando — come in questo periodo — dobbiamo misurarci con tutto ciò che la minaccia. Sono già due anni – ha proseguito – che non possiamo fare festa come vorremmo, ma – al di là della possibilità e della stessa voglia di festeggiare – ormai da troppo tempo abbiamo dovuto rinunciare a molto di più ».

Non è poi mancato il riferimento al nostro territorio segnato dalla pandemia e non solo: «Tante famiglie e tanti giovani – ha ricordato -, in questo territorio già povero e martoriato, hanno visto sgretolarsi sogni e progetti. Tante imprese e tanti esercizi commerciali, in questo contesto sociale ed economico già sottoposto ai giochi di potere delle mafie, hanno dovuto chiudere i battenti e dichiarare il fallimento. L’elenco sarebbe lungo tanto quanto sono lunghe le strade di questa città, che oggi San Calogero — almeno in parte — avrebbe attraversato, se tutto fosse stato normale. Ma eccoci qua, più tenaci che mai, stretti – per quanto possibile – sotto lo stesso cielo, in questo santuario aperto sulla nostra città e spalancato sul mondo intero, rinforzati anziché sconfitti dalle prove di questo tempo… Eccoci qua, con gli occhi rivolti al Signore, che si incrociano con quelli di San Calogero: occhi di eremita, alzati al cielo, e occhi di taumaturgo, puntati sulla terra. Ogni volta che – ha continuato – spinti da quel «chiamamu a cu n’aiuta» – gridiamo «viva San Calò», dovremmo sintonizzarci con il suo sguardo, per lasciarci proiettare verso Dio, da cui proviene ogni grazia, e verso gli uomini e le donne che ci vivono accanto, con i quali dobbiamo saper condividere la grazia di Dio. Dovremmo risvegliare in noi – ha esortato – il desiderio del bene, l’impegno per la giustizia e l’amore per la sapienza, che il suo nome di “bel vecchio” misticamente evoca. Facciamo attenzione – ha ammonito –  a non cadere nel tranello dell’idolatria, che ci confonde, ci seduce e poi ci delude. San Calogero, come tutti i santi — e soprattutto la sua statua, come tutti i simulacri — non è un amuleto da tirare fuori tutte le volte che abbiamo un problema da risolvere. È il profeta di cui ci ha parlato Ezechiele nella prima lettura: l’uomo di Dio, nel quale entra uno spirito che fa alzare in piedi e ascoltare colui che gli parla. Un uomo come tutti gli altri, mandato a una «razza di ribelli, che si sono rivoltati — dice Dio — contro di me», ma che restano pur sempre figli: «figli testardi e dal cuore indurito», ma figli, di cui Dio — attraverso i suoi profeti — vuole continuare a prendersi cura.

Figli ribelli, ma anche profeti. Oggi – ha detto mons. Damiano – siamo noi i figli ribelli che, guardando a San Calogero, tornano al Signore. Ma siamo anche i profeti che, mettendosi sulla scia dei loro padri e maestri nella fede, indicano agli altri la via di questo ritorno, percorrendola per primi, andando a cercare chi si smarrisce, aspettando chi resta indietro e sostenendo chi non ce la fa. Mi colpisce – ha proseguito – che nella prima lettura Dio non affidi al profeta un messaggio preciso. Il suo compito è dire semplicemente: «Dice il Signore Dio». Il profeta – San Calogero e ciascuno di noi insieme a lui – con gli occhi alzati al cielo e puntati sulla terra, deve interpretare gli avvenimenti alla luce della fede, per dare alla storia un senso che la supera e la orienta verso prospettive diverse».

L’Arcivescovo ha fatto poi riferimento al primo messaggio che ha indirizzato alla nostra Chiesa; «vi ho chiesto di imparare a riconoscere e ascoltare nelle trame della nostra storia la voce di Cristo, che misteriosamente ci parla «in modi non convenzionali, ma non per questo meno significativi». Il profeta – San Calogero e ciascuno di noi insieme a lui – fa proprio questo. Sa «guardare oltre le apparenze e ascoltare al di là delle convinzioni, […] scendendo nella concretezza dell’esistenza e svelandone le contraddizioni e le ipocrisie; risvegliando nelle coscienze il desiderio del bene e il gusto della verità; attivando percorsi personali e comunitari di giustizia, di conversione e di riconciliazione».

Qual è il pane da Condividere? Con chi? Non è mancato anche il riferimento al Pane viene lanciato al Santo: «Il “pane dei poveri”, che caratterizza la nostra devozione al nostro Santo, è il segno di questa presa in carico e di questo riscatto. Sarebbe facile – ha detto – lanciarlo dalle nostre case, dove ci sentiamo protetti; più complicato è raccoglierlo dalle nostre strade, sfidando la paura del contatto con gli “appestati” di sempre, per farne lo strumento di una santità sempre attuale e ancora capace di profezia. Chiediamoci – ha detto ai presenti e a quanti seguivano in diretta sui social – quale “pane” dobbiamo condividere. Sarà quello dell’accoglienza e della compassione, della prossimità e del rispetto, della promozione e della fiducia. E chiediamoci con quali “poveri” dobbiamo condividerlo. Saranno i disperati che abitano nella porta accanto o forse nella nostra stessa casa, quelli che partono per andare a cercare fortuna altrove o che arrivano perché pensano che la fortuna sia qua. Saranno i malati che si scoraggiano o gli anziani abbandonati a sé stessi, i giovani che imboccano strade sbagliate o i padri e le madri che non sanno affrontare il loro disagio, le famiglie che non sanno gestire i conflitti o quelle che non riescono ad arrivare alla fine del mese.»

Scendere in strada per ridare dignità alla nostra carità. Mons. Damiano ha chiesto a tutti di impegnarsi, soprattutto, a «non lanciare a distanza questo “pane” a questi “poveri”, ma a scendere in strada, sulle orme di San Calogero, per ridare dignità alla nostra carità e ai suoi destinatari. Sono questi i «modi non convenzionali» attraverso i quali Dio ci parla e nei quali noi dobbiamo parlare di Lui, proprio come San Calogero ha fatto nel suo tempo e come farebbe se fosse ancora tra noi.

Uno di questi “modi” – ha ricordato facendo riferimenti ai recenti fatti di cronaca – con cui Dio interpella la nostra coscienza civica ed ecclesiale… si è consumato proprio in questi giorni, all’alba di mercoledì, nel mare di Lampedusa: l’ennesima tragedia di un “mare nostrum” che ormai di nostro sembra avere ben poco. Stavolta è toccato a sette donne, una delle quali, nel suo grembo diventato tomba, portava una vita che non vedrà mai la luce di questo mondo. È toccato a sette donne, identificate solo da un numero e da una data di morte, le cui salme giovedì sera sono approdate quaggiù a Porto Empedocle, per trovare riposo laggiù nel cimitero di Palma, dove non potranno neppure essere piante da parenti e amici, che per noi resteranno anonimi tanto quanto loro.

Anche le storie sconosciute di queste nostre sorelle  e di chi forse le crede ancora vive a inseguire i loro sogni hanno una forza profetica che rischiamo di vanificare. Quale posizione – ha chiesto –  intendiamo assumere davanti a questa tragedia e a tutte quelle che ogni giorno si consumano attorno a noi? Continueremo a rammaricarci  – ha proseguito – perché anche quest’anno non possiamo festeggiare San Calò, oppure cominceremo a seguire la via che lui ha tracciato e che non possiamo ignorare, ostinandoci a guardare dall’altra parte? Certo, nessuno è profeta in patria, come ci ha ricordato il Vangelo. Il che rende difficile vivere pienamente la santità. Forse San Calogero, venuto da lontano, ha avuto la fortuna di essere straniero e questo gli ha facilitato le cose. Come del resto, essendo vissuto ormai troppo tempo fa, forse non è più abbastanza scomodo da scuotere la nostra assuefazione a una storia che continua il suo corso, a volte anche tragicamente. Possiamo dichiararci suoi devoti solo se ne seguiamo l’esempio; e possiamo onorarne la memoria solo se la facciamo rivivere nelle nostre scelte e nelle nostre azioni.

Questo vi auguro e mi auguro – concluso -, in questa prima festa di San Calogero che condivido con voi come vostro vescovo, anche se è una festa a metà. Ma forse avevamo bisogno proprio di una festa a metà, per ricordarci che — come il nostro Santo — non possiamo rivolgere i nostri occhi al Signore se non siamo disposti a rivolgerli, rischiarati dalla sua luce, al nostro territorio e ai suoi drammi”.

Dopo la prima Domenica, dove tutto, in Piazza e nei pressi del Santuario, è stato predisposto e approntato per una gestione ottimale dell’evento grazie al lavoro sinergico di tutti gli Enti ed Istituzioni coinvolti ed ed al senso di responsabilità che ha caratterizzato i cittadini ed i devoti adesso ci si prepara alla seconda Domenica, 11 luglio, che non vedrà manifestazioni all’esterno del Santuario .

Si inizierà con la S. Messa delle ore 7,00, a seguire quella delle ore 9.00, presieduta dal neo Vicario Generale, don Giuseppe Cumbo. Seguiranno dalle ore 10,30 alle 20,00 i Pellegrinaggi individuali secondo queste indicazioni:

  • Gli accessi al Santuario  saranno presidiati dai volontari dell’Associazione Portatori di San Calogero e saranno muniti di igienizzanti e  mascherine da distribuire a coloro che ne saranno sprovvisti.
  • Per la celebrazione della S. Messa saranno ammessi fino ad un massimo di 71 persone secondo la capienza valutata alla luce del protocollo vigente.
  • Per gli ingressi in Santuario si opterà per questa modalità: saranno distinti l’ingresso e l’uscita attraverso l’opportuna segnaletica e il servizio di ordine che sarà garantito dai volontari dell’ass. Portatori di S. Calogero. Si accederà al santuario negli orari indicati attraverso  l’accesso  posto  sul  viale  della  vittoria,  e  ci  sarà  un  percorso  per  onorare  il  Santo  e  si uscirà  dall’ingresso  principale  (piazzetta  S.  Calogero).  L’accesso  laterale  di  via  Roma/via  Vittorio Emanuele sarà chiuso.
  • Durante il tempo dedicato ai pellegrinaggi individuali non si potrà sostare in chiesa se non per il tempo della preghiera. I fedeli che hanno la promessa di fare il pane, saranno invitati a rivolgersi alle proprie parrocchie per la benedizione.
Nel video l’omelia di mons. Alessandro Damiano 

 

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