Francesco Traina ci racconta la sua vocazione

Classe 1995, amante della musica, suona il clarinetto ed ha fatto parte della banda del suo paese, appassionato di cinema e fan sfegatato del grande Alberto Sordi. Cresciuto nella comunità ecclesiale di San Giovanni Gemini, giovedì 25 gennaio Francesco Traina sarà ordinato diacono. Un ragazzo dei nostri giorni che ha deciso di ascoltare la chiamata e rispondere con gioia e franchezza “sì”.  A pochi giorni dall’ordinazione lo abbiamo incontrato per farci raccontare un po’ della sua vita e le aspettative che nutre per il suo futuro.

  • Francesco, raccontaci di te, quali sono le tue “radici”? Quali sono le tue passioni?

Raccontare delle mie radici non mi è difficile, queste sono sicuramente ben radicate nel contesto in cui sono cresciuto, ovvero San Giovanni Gemini. Provengo da una famiglia piccola e molto unita a cui devo tutto, composta dal mio papà che porta avanti l’attività di famiglia, lunga ormai tre generazioni, nel settore edile, dalla mia mamma che lavora in una comunità per disabili presente sul territorio e da mia sorella, più piccola di me, a cui sono particolarmente legato, studentessa universitaria a Palermo. Da loro ho imparato i valori fondamentali che hanno sempre orientato la mia vita. Mi ritengo particolarmente fortunato ad essere cresciuto in un contesto in cui ho sempre respirato una forte dimensione comunitaria di rispetto e solidarietà. Difficile, a San Giovanni Gemini, trovare qualcuno con cui non ci si conosca. Sin da piccolo sono stato impegnato in diverse attività a carattere sociale che mi hanno permesso di intessere relazioni costruttive e sincere. Tra queste la musica ha avuto un’importanza particolare, per otto anni ho fatto parte dell’associazione musicale “Giacomo Puccini” di San Giovanni Gemini nel ruolo di primo clarinetto. Questa realtà mi ha permesso di vivere molte esperienze di amicizia e sano divertimento che fanno della musica un mezzo pedagogico molto valido nella crescita dei giovani. Tra i miei hobby preferiti certamente anche il cinema, adoro il grande cinema italiano, Vittorio De Sica, Monica Vitti, Carlo Verdone ed il grande Alberto Sordi, di cui sono fan sfegatato, penso di conoscere a memoria tutti i suoi film, nell’ottobre scorso ho avuto anche la possibilità di visitare la sua tomba e la sua storica villa a Roma.

  • Qual è stato il percorso che dalla tua famiglia e dalla Comunità di San Giovanni Gemini ti ha portato in seminario? Ci sono dei momenti particolari o delle persone che hanno segnato questo percorso?

Il percorso che mi ha portato in seminario è stato molto impegnativo. La famiglia è stata la prima comunità che mi ha educato ad una fede semplice ed autentica, a questa si affiancano le tantissime esperienze vissute in parrocchia. Sin dagli anni della catechesi ho avuto la grazia di incontrare testimoni credibili che mi hanno trasmesso la bellezza di una vita piena, spesa per la causa del Vangelo. Un ruolo certamente fondamentale hanno giocato l’Azione Cattolica e l’oratorio “don Michele Martorana”. Rimane indelebile il ricordo di esperienze molto forti vissute in AC, momenti di incontro e formazione che hanno saputo far crescere in me il desiderio di seguire Cristo più da vicino. Nel tempo l’impegno in parrocchia si è concretizzato particolarmente nella catechesi e nell’animazione in oratorio. Questo mi ha permesso di scoprire uno degli interessi più forti che coltivo: l’attenzione per il mondo giovanile. Negli ultimi quattordici anni ho avuto modo di vivere esperienze molto significative con i giovani, avendo la possibilità di accompagnare diverse generazioni nei momenti più importanti della loro crescita, ho visto passare in oratorio centinaia di ragazzi, cambiare i volti, le storie, i modi di essere di generazioni differenti. Difficile elencare tutti i campi scuola, Gr.Est ed altre attività vissute dal 2010 ad oggi, l’ultimo campo proprio i primi giorni del nuovo anno in Calabria. Mi sento realizzato quando scopro che quei piccoli semi sparsi in questi anni hanno portato frutti di bene nei ragazzi, tanti dei quali sono oggi impegnati ad essere “buoni cristiani ed onesti cittadini”, secondo il principio sempre valido del grande educatore San Giovanni Bosco. Durante gli anni di liceo ho cominciato ad interrogarmi seriamente sul mio futuro, per cui lentamente mi sono messo in gioco, ho

Al campo diocesano AC giovani 2023

avuto la grazia di incontrare figure molto valide che hanno saputo accompagnarmi con discrezione verso la scoperta della mia vocazione. Così, con tanti dubbi e perplessità, ho deciso di partecipare ad un campo vocazionale, organizzato dal centro diocesano vocazioni, nel dicembre del 2012, a Santo Stefano Quisquina. Quello è stato il mio primo approccio con la realtà del Seminario, che prima sconoscevo. Durante quel capo vocazionale ho conosciuto i giovani dell’anno propedeutico ed il loro responsabile, don Giuseppe Cumbo. Pian piano e senza neanche accorgermene sono diventato di casa in Seminario. Per due anni ho partecipato a tutte le attività proposte dal centro vocazioni, o semplicemente recandomi in Seminario per condividere un po’ di tempo con i seminaristi. Nel luglio 2014 ho conseguito il diploma di maturità al liceo scientifico “Madre Teresa di Calcutta” di Cammarata ed è arrivato il momento della prima scelta. Con slancio e non senza timore ho deciso di iniziare l’anno propedeutico in Seminario dando così inizio ad un cammino lungo ed autentico.

  • Con mons. l’Arcivescovo, Alessandro, il giorno del compleanno

    Come pensavi il tuo futuro prima di entrare in Seminario?

Prima di entrare in seminario pensavo il mio futuro non tanto differente da quello che è oggi. Se non avessi intrapreso la strada che lentamente mi sta portando al sacerdozio probabilmente mi sarebbe piaciuto diventare insegnante di lettere al liceo. Questo mi avrebbe permesso ugualmente di stare accanto ai giovani e di avere un ruolo educativo nella loro formazione.

  • Durante il percorso di formazione in seminario che idea ti sei fatto sui giovani e le vocazioni?

Fare sintesi del mio percorso di formazione non è certo semplice, ho vissuto in seminario oltre sette anni, vivendo fasi diverse della mia vita personale e comunitaria. Durante questi anni ho visto cambiare i volti ed i numeri di una comunità in continuo cambiamento, ma ho visto cambiare anche me. Gli anni di formazione sono stati un’occasione unica di crescita nella dimensione umana e spirituale. Essendo entrato in seminario molto giovane ho avuto modo di costruire giorno per giorno il mio essere uomo e sulla base umana costruire quella vocazionale, andando così di pari passo, dalle grandi alle piccole cose. Tra le grandi sicuramente la scoperta di una vocazione chiara a cui penso di essere chiamato, la maturità

esperienza estiva all’ospedale cottolengo di Torino

nel costruire relazioni sincere, la fatica e la bellezza della vita comunitaria, tra le piccole e più simpatiche l’avere preso la patente in primo anno di seminario o avere imparato a fare la barba. Grandi e piccole cose di vita vissuta che profumano di quotidianità. Certamente gli anni di formazione non sono stati per come li avevo pensati, mi sono ritrovato a fare cose che non avrei mai pensato di fare, condividere tempi e spazi con persone che non avrei immaginato, vivere esperienze uniche. Non sono certo mancati momenti difficili, di prova e scoraggiamento, ho avuto bisogno dei miei tempi per capire, di momenti di sosta e riflessione. Col tempo sento però di potere affermare, insieme all’apostolo Paolo, che davvero “tutto concorre al bene” (Rm 8,28), tanto da scegliere questo passo come ricordo della mia ordinazione diaconale. Per quanto riguarda i giovani e le vocazioni, in questi anni penso di avere capito che i ragazzi di oggi abbiano bisogno sempre di più di essere capiti, ascoltati e non giudicati, di avere qualcuno accanto capace di farsi loro prossimo. Nelle nuove generazioni ho visto crescere maggiormente tante fragilità, mascherate da una sicurezza apparente. I giovani non hanno bisogno di belle prediche, ma di testimoni credibili, di coerenza e fiducia. Negli anni ho anche visto assottigliarsi il numero delle presenze in seminario, un esempio chiaro è proprio il fatto che nell’anno 2024 per tutta l’Arcidiocesi di Agrigento sarò ordinato soltanto io come diacono e, successivamente, sacerdote. Spesso si parla di “crisi di vocazioni”, io preferisco pensare che ci sia una “crisi di risposte”. Nella società liquida, in cui viviamo, penso si abbia paura di compiere delle scelte di vita definitive e chiare, si ha paura del “per sempre”. I giovani, sempre più distratti dalle mille verità attorno a loro, fanno fatica a riconoscere la Verità, soprattutto se questa non è annunciata nel modo corretto. Al tempo stesso sono convinto che oggi più di prima i giovani abbiano sete di Dio, di Assoluto, di bene, di bellezza, ma questa sete viene spesso colmata da fonti che si rivelano inquinate. A noi il compito di condurli alla vera fonte.

Il 10 gennaio 2024, nella cappella del Seminario, alla presenza del Vicario Generale, don Giuseppe Cumbo, Francesco ha emesso la Professione di fede e il giuramento di fedeltà nell’assumere l’ufficio di Diacono.
  • Come ti senti in questo momento in cui mancano pochi giorni alla tua ordinazione diaconale?

Dentro di me sicuramente vi è un subbuglio di emozioni e pensieri che poggiano però su una base di serenità, costruita nel tempo e nel discernimento. Provo a non farmi distrarre dalle cose da fare, anche se la tendenza è forte, ma piuttosto di concentrarmi sull’essenziale, su ciò che davvero è importante. Per fare questo certamente saranno un’occasione preziosa gli esercizi spirituali che vivrò ad Assisi dal 15 al 19 gennaio predicati da mons. Domenico Cancian, un tempo unico di preghiera e preparazione verso il mio “eccomi”.

  • Nei mesi che vanno dall’ordinazione diaconale a quella sacerdotale vivrai un momento di servizio che potrebbe essere in una comunità parrocchiale, come quella di Ribera, dove hai trascorso gli ultimi mesi in preparazione all’ordinazione. Quanto è stata importante quella vissuta nella città delle arance? Cosa, invece, ti auguri di potere imparare? C’è qualcosa che ti intimorisce?

Negli ultimi quattro mesi ho vissuto la mia prima esperienza pastorale “a tempo pieno” nella comunità ecclesiale di Ribera. Arrivato nel settembre scorso mi sono inserito lentamente nel tessuto di un contesto molto diverso da quello a cui ero abituato. Il primo impatto non è stato semplice, una realtà che prima di allora avevo visitato poche volte e che mi era pressoché sconosciuta. Col tempo ho imparato a conoscere i luoghi, le persone, e ad apprezzarne la grande accoglienza e fiducia che mi hanno riservato. Questa esperienza si è arricchita maggiormente di valore per la scelta lungimirante che ha pensato l’Arcivescovo per me: vivere un’esperienza pastorale che tocchi tutte le parrocchie della città sperimentando una dimensione comunitaria con i tre parroci presenti sul territorio. Grazie a loro sto imparando a muovere i primi passi nella vita pastorale dopo gli anni della formazione, ciascuno di loro mi è di sostegno e con molta accoglienza e pazienza mi stanno

( Ribera)

facendo sperimentare la bellezza e la sfida dell’essere parroci. Ribera presenta diverse sfaccettature, positive e non. Tra quelle positive la presenza di tanti gruppi ecclesiali ed associazioni molto presenti sul territorio, tra quelle meno positive sicuramente l’emergenza droga che nell’ultimo periodo ha causato anche diverse vittime. Mi intimorisce vedere come tanti giovani cadano facilmente vittime della droga, una piaga che imbruttisce il volto bello di una comunità accogliente e laboriosa. Mi auguro di poter contribuire, nel mio piccolo, ad orientare quanti ho incontrato ed incontrerò verso la vita buona del Vangelo.

  • La parola diacono, fa riferimento al servo, al servizio. Il Concilio Vaticano II, nella Lumen gentium, illustra il ministero dei diaconi, «ai quali – dice – vengono imposte le mani non per il sacerdozio ma per il servizio» (n. 29). Come immagini il tuo servizio nella Chiesa agrigentina?

Non ho un’immagine ben precisa di come vivrò questo ministero, spero semplicemente di viverlo con coerenza e disponibilità piena alle necessità di una Chiesa di cui, nonostante i miei limiti, sento la gioia di appartenere e la responsabilità di esserne figlio, nell’impegno di quanto mi sarà consegnato nel rito di ordinazione: credi sempre a ciò che proclami, insegna ciò che hai appreso nella fede, vivi ciò che insegni.

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