La memoria è la nostra identità (Sant’Agostino). In un suo libro, pubblicato nel 1961, e dedicato a figure esemplari di sacerdoti agrigentini del passato, De Gregorio lamentava la poca cura della nostra buona memoria. «Gran parte del patrimonio spirituale delle generazioni passate, spesso, si perde per la dimenticanza in cui gli uomini, grandi per virtù e ingegno, cadono inesorabilmente, a causa del clamore, vuoto e assordante, che circonda gli idoli effimeri di ogni tempo». Parole verissime e confermate senza smentite dai nostri tempi. Ad ogni modo, quel libretto non solo ci istruisce su eroici sacerdoti «d’altri tempi», ma ci stimola a non dimenticare quelli del recente passato, come appunto mons. D. De Gregorio.
Quest’anno, a Cammarata, la Chiesa parrocchiale di San Vito, lo ha voluto ricordare con una conferenza-dibattito il cui tema è stato Cristo nei numerosi scritti di De Gregorio. Se è vera, come è vera, la parola di Gesù riascoltata in questi giorni pasquali, con cui Egli rendeva i suoi discepoli capaci di «dargli testimonianza», quale volto di Cristo ci ha testimoniato il nostro monsignore? Per De Gregorio il cristianesimo e Cristo sono fusi insieme nell’umanità del popolo siciliano e ovviamente del popolo che vive in questa porzione agrigentina della Sicilia. Qualcuno tra i letterati cristiani contemporanei, il cui nome non riesco a cavar fuori dalla memoria, afferma che ci sono tre modalità con cui il volto di Cristo Gesù si riflette nella letteratura: come distorsione, come reinterpretazione o attualizzazione, come trasfigurazione. Le ultime due modalità interessano mons. De Gregorio e i suoi scritti, la prima ovviamente no. De Gregorio ebbe sempre cura di non alterare l’impronta evangelica di Cristo. Ciò non vuol dire che non lo rese vicino alla sensibilità culturale e di fede del nostro tempo. In altre parole il volto di Cristo è da lui reinterpretato e attualizzato nella nostra società. De Gregorio lo intravede distintamente nel volto della Chiesa, con tutte le sue fragilità, perché la Chiesa è di natura teantrica, porta, cioè, tutta la divinità del Cristo e tutta la fragilità della natura dell’uomo, in Cristo però redenta. La storia della Chiesa di Agrigento, su cui De Gregorio ha profuso i suoi sforzi di ricercatore e di storico, non è altro che la storia di Cristo. Nella storia di questa Chiesa, come fosse storia di un solo uomo, si coglie tutta la generosità e la fragilità di tante generazioni di cristiani che hanno vissuto in queste nostre terre. Nella sua storia, De Gregorio vede anche Cristo trasfigurato. In Rosario Livatino, ad esempio. Martire della giustizia. Per giustizia – spiega – dobbiamo intendere la Giustizia di Dio, che è differente da quella degli uomini. «La Giustizia di Dio è volontà di liberazione, di salvezza per l’uomo. Dio infatti in Gesù Cristo salva l’uomo perché lo libera dal peccato, lo giustifica, lo rende suo figlio e lo affratella a tutti gli uomini […]. Rosario Livatino fu vittima innocente per l’affermazione di tale Giustizia […]» (Parrocchia di carta, 64).
Lasciando questo mondo di quaggiù il 26 maggio del 2006, Domenico De Gregorio ci ha
lasciato in eredità una monumentale storia della Chiesa agrigentina. Forse noi, con una fede che ha i piedi per terra e i pensieri «alle cose di lassù», dovremmo imparare a coglierla con storia di Cristo, in cui ognuno è co-protagonista.