La Pastorale di Santa Elisabetta è un rito propiziatorio che ha la funzione di rinnovare la fertilità naturale e umana, fisica e metafisica. Affonda le sue radici nel celeberrimo testo di Padre Fedele da San Biagio, pur assumendone peculiarità eretiche e distanti dall’origine letteraria, fino al punto da potersi considerare a tutti gli effetti un’espressione artistica indipendente ed autopoietica.
È riconducibile agli officia pastorume, forme di dramma sacro attestate in Sicilia tra i secoli XVII e XVIII. Tali forme di teatro popolare presentano codici espressivi peculiari, in cui apporti folklorici e di provenienza ecclesiastica si sono mescolati e riadattati ai vari contesti.
La Pastorale Sabettese si svolge in un’atmosfera festosa, scandita dal suono delle zampogne, dei campanacci e dei tamburi. I protagonisti della rappresentazione sono i pastori, che interpretano vari ruoli con relativi livelli di senso, tra cui quello di Nardu, figura centrale del rito.
Nardu è una personalità (maschera) della terra, talmente contro la stessa da essere per la stessa. Nardu incarna il caos originario, maschera ctonia, incarna la fragilità umana, la capacità di meravigliarsi, di stupirsi, di sottomettersi e di eclissarsi dal controllo. Manifesta queste capacità come le uniche vere ed autentiche risorse dell’umana natura.
Il suo aspetto è grottesco: ha il volto imbrattato di bianco, è vestito di stracci e porta un bastone appeso al collo. Le sue azioni sono orientate al rovesciamento della norma: disubbidisce agli ordini, perde tempo, provoca le donne e spreca il cibo. Il comportamento di Nardu è un elemento fondamentale della Pastorale Sabettese. Il suo rovesciamento della norma rappresenta il caos originario, che precede la creazione dell’ordine. La sua presenza nel rito ha la funzione di rinnovare la fertilità naturale e umana, eliminando le scorie accumulate nel corso dell’anno. La Pastorale Sabettese è un rito antico e affascinante, che conserva ancora oggi tutta la sua forza simbolica. È un momento di aggregazione per la comunità locale, che si ritrova per celebrare la nascita di Gesù e rinnovare la speranza per il futuro. Il luogo in cui si svolge la Pastorale Sabettese è la piazza principale del paese, Piazza San Carlo, che viene trasformata in una masseria.
- “La preparazione della ricotta” è un momento importante della rappresentazione, che coinvolge tutti i partecipanti, espressione della tipicità culinarie ed economiche sociali. La ricotta viene poi condita con le lasagne e consumata collettivamente.
- “La caccia al coniglio” è una scena particolarmente spettacolare, se pur raccapricciante. Il coniglio viene catturato e scuoiato dai pastori, che poi lo arrostiscono e lo mangiano sul posto.
- “L’uccisione del lupo” è un’azione simbolica che rappresenta la vittoria del bene sul male. Nardu durante la manifestazione viene incaricato di svolgere diversi compiti, ma li adempie sempre in modo goffo e disastroso. Ad esempio, cerca la legna da ardere ma riporta solo qualche rametto, o va a prendere l’acqua ma cade a terra rompendo la brocca.
La scena della cena è una delle più importanti della Pastorale. I pastori si riuniscono attorno a un unico recipiente per condividere il pasto, un gesto che simboleggia la solidarietà e l’unità della comunità. Nardu, come sempre, mangia da solo e continua a gettare il cibo per terra.
Dopo la cena, i pastori si apprestano a dormire. All’improvviso, appare un lupo che minaccia un agnellino. Il cacciatore uccide il lupo con un colpo di fucile e tutti i pastori si svegliano. Nardu, come primo ad accorgersi di cosa è successo, tenta di scuoiare il lupo ma lo fa in modo disastroso. A questo punto, la scena cambia radicalmente.
Appare una stella che guida un angelo seguito da tre Cavalieri, che rappresentano i tre Re Magi. La stella si ferma davanti a una grotta, dove è appena nato Gesù. I pastori, attoniti, si guardano tra loro. Nardu, arrivato per primo davanti alla grotta, a causa della forte emozione cade a terra rompendo la brocca che teneva in mano. È l’ultimo degli uomini che diventa interlocutore privilegiato della divinità. È il rappresentante dei “piccoli” a cui il messaggio e l’amore evangelico è rivolto.
Francesco Rizzo