A poche ore dall’ordinazione sacerdotale don Riccardo Scorsone, giovane diacono della nostra Arcidiocesi, ci racconta il suo percorso vocazionale e le sensazioni provate in attesa del grande giorno in cui diventerà pastore di Cristo.
«“Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10). È con queste parole che Gesù chiama Simon Pietro alla sua sequela dopo una pesca “miracolosa”; è con queste stesse parole che il Risorto mi ha raggiunto durante la mia adolescenza, rivelandomi il suo straordinario progetto sulla mia vita: il sacerdozio.
Educato alla fede dalle parole e dall’esempio dei miei genitori, ho iniziato a “vivere” la comunità parrocchiale di Fontanelle all’età di 11 anni con l’ingresso nel gruppo scout, vera palestra di umanità, nel quale sono stato formato alla comunità, al servizio, alla cittadinanza attiva, all’amore per il creato, all’auto-responsabilità e a tutto ciò che oggi fa parte del mio bagaglio di vita e che mi permette di essere “buon cristiano e onesto cittadino”, parafrasando le parole di don Bosco.
Unitamente al cammino scout, con l’allora novello vice-parroco iniziai un cammino di fede più intenso che mi portò ad un coinvolgimento maggiore nella vita della comunità e da lì a poco al discernimento vocazionale. Avvertivo il bisogno di sostare alla presenza di Gesù Eucarestia per comprendere di quale progetto ero destinatario e così, durante i vari momenti di preghiera e servizio, germogliava silenzioso quel seme della vocazione che Dio aveva posto nel mio cuore “prima di formarmi nel grembo materno” (cf. Ger 1,5).
Di tutto ciò ho preso consapevolezza soltanto all’inizio del quinto anno di liceo, tempo di sintesi e di nuove scelte. Proprio in quell’anno ho maturato con convinzione che il Signore che già nel Battesimo mi aveva chiamato alla santità di vita, adesso mi chiedeva di realizzarla nel sacerdozio ministeriale con l’offerta totale di me stesso a Dio per la salvezza dei fratelli. Così nell’ottobre del 2011 iniziai il cammino di formazione nel Seminario di Agrigento, allora ridotto “ai minimi termini”.
La comunità assistette ben presto ad una “nuova primavera” che mi portò a vivere, nel corso degli anni, esperienze straordinarie che hanno inciso profondamente nella mia formazione umana, spirituale e pastorale. Tra tutte ricordo il Cammino di Santiago, la prima esperienza missionaria in Albania (prima di una lunga serie) e i due anni di servizio pastorale nella Parrocchia di Villaseta con le famiglie in difficoltà. Tutto questo insieme alla preghiera, allo studio e alla vita comunitaria mi ha permesso di scoprire un sacerdozio ancora più bello e più autentico di quello che ingenuamente sognavo entrando in Seminario e, pian piano, ha plasmato in me l’immagine di quel “pastore” che fra pochi giorni riceverà il sigillo sacramentale.
Proprio nell’ambito di questa scoperta progressiva del sacerdozio, la prima esperienza missionaria in Albania nell’estate del 2014 mi mise di fronte ad una dimensione costitutiva della mia vocazione cristiana e sacerdotale, mai prima di allora considerata: quella missionaria. Il contatto con quella terra martoriata dalla persecuzione comunista e bagnata dal sangue dei martiri, con la sua gente semplice, accogliente e desiderosa di rinascere umanamente e spiritualmente, con la sua colorita tradizione e le sue bellezze naturalistiche ha risvegliato in me quell’ansia per le Chiese di cui parla S. Paolo nelle sue lettere e per l’annuncio del Vangelo “in tutto il mondo” (cf. Mc 16,15). Dopo diverse esperienze nel sud-est dell’Albania (Korçë e Bilisht), ho colto con entusiasmo la proposta dei formatori e del Vescovo di vivere l’anno del diaconato in quella terra, unendo alla formazione pastorale propriamente detta la vita missionaria che in Albania assume le coordinate della promozione umana e del primo annuncio di Cristo. Davvero l’Albania è entrata nel profondo della mia vita e della mia vocazione e, di certo, mi aiuterà a scoprirmi “missionario” lì dove sarò chiamato a vivere il mio ministero!
Adesso, pur continuando in forme diverse il servizio in Albania, mi preparo ad una esperienza diversa rispetto a quelle vissute finora ma altrettanto affascinante. Si tratta di un’esperienza biennale di studio a Roma che mi vedrà approfondire il ramo della teologia dogmatica. È lo stesso sacerdozio di Cristo a mettere insieme insegnamento e missione, per cui leggo questa nuova avventura come un’opportunità che la Chiesa mi sta offrendo per configurare sempre più il mio ministero sacerdotale a quello di Cristo perché realizzi a pieno la missione per cui mi è stato donato.
In questo momento si alternano tanti sentimenti nel mio cuore che difficilmente sarei capace di descrivere; su tutti, prevale l’immensa gratitudine al Signore “perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero” (1Tm 1,12), alla Chiesa agrigentina che ha riconosciuto la mia vocazione, ha promosso la mia formazione e adesso mi accoglie come suo presbitero e a ciascun compagno di viaggio conterraneo e straniero che insieme a me ha contribuito alla costruzione del mio sacerdozio. Vi chiedo di accompagnarmi con la preghiera perché la mia vita rispecchi in pienezza quell’offerta eucaristica che dal 27 settembre in poi eleverò sull’altare».