A Lampedusa, il 3 ottobre, da 10 anni, inizia alle 3.15, quando la notte comincia a cedere
il passo alla tenue luce dell’aurora, prima che il sole spunti all’orizzonte e non solo per i pescatori, abituati al duro lavoro dell’andare per mare anche di notte. Poco prima di quell’ora, mentre i gabbiani iniziano a garrire, pian piano la centralissima via Roma e Piazza Piave cominciano a popolarsi proprio quando generalmente, turisti e isolani, anche in questo caldissimo ottobre, così come durante la stagione turistica, vanno a dormire e gli esercenti chiudono i locali. Quel giorno e a quell’ora – la stessa di quel tragico giovedì, 3 ottobre del 2013, quando un barcone con migranti eritrei prese fuoco e si rovesciò a circa mezzo miglio dall’Isola dei Conigli, provocando la morte di 368 persone – ci sono tutti: isolani, turisti e ospiti appositamente giunti sull’Isola. Ci sono soprattutto “i pescatori di vite umane” – come li ha definiti Alessandro Puglia – che quel giorno salvarono i superstiti del naufragio anch’essi in piazza con amici e parenti. Il momento di raccoglimento, fatto di ascolto dei testimoni e di silenzio, ogni anno, come una clessidra che si capovolge, segna un andare indietro nel tempo, fino a quell’alba di dieci anni fa. Da quel giorno, ogni 3 ottobre, il buio della notte è squarciato dai lumicini accesi in mano alla gente o sui davanzali delle case e, dal 2019, attorno al Memoriale “Nuova Speranza”, in Piazza Piave
su cui sono incisi i nomi dei migranti morti che sono stati letti, uno ad uno, davanti al monumento che li ricorda, rompendo, così, il silenzio della notte per ricordare a tutti che dietro ogni numero, di questa e delle altre tragedie, c’è una persona, con un nome, un volto, una famiglia, una storia; poi la marcia verso Porta d’Europa, cerniera simbolica tra Europa e Africa, per il momento di raccoglimento con i familiari delle vittime, alla presenza di cittadini e delle autorità, civili, religiose e militari. Ad aprire il corteo uno striscione con la scritta: “Basta morti invisibili” portato da centinaia di studenti giunti da diversi Paesi europei, insieme a cartelli con su stampati i numeri delle vittime dei naufragi. Tante volte, troppe, la data del 3 ottobre è stata utilizzata come limite, come confine di una tragedia che non si sarebbe dovuta più ripetere. “Mai più!” dissero i grandi dell’Europa inginocchiati davanti le centinaia di bare, allineate nell’hangar dell’aeroporto dell’isola. “Non si ripeta per favore!” ha chiesto Papa Francesco, in visita a Lampedusa l’8 luglio dello stesso anno, per gli altri naufragi in mare. Quella strage, purtroppo, non è servita a fermare le tante altre che, nel tempo, si sono succedute. Da più parti in Europa e nel Paese, anche ieri sono risuonate parole- che sembrano infrangersi come onde sugli scogli dell’isola- circa la necessità di un cambio di approccio nelle politiche migratorie. Nel mentre assistiamo ancora a schermaglie tra il Governo e le navi umanitarie delle ONG, a controversie con la Magistratura, a dichiarazioni, promesse, sottoscrizione di intese e patti che sembrano scene di un film già visto e rivisto. Assistiamo ancora ad una UE che sembra mostrarsi, al di là dei proclami, non una Unione di Stati Europei, ma “UE” appunto, acronimo di “Unione di Egoismi”, sempre più marcati tra gli Stati, con aperture e repentini arroccamenti e tentativi, quasi quotidiani, di ricucire la trama dei rapporti tra gli Stati, dell’Italia con Francia e Germania, a casa nostra, anche tra gli stessi partiti di Governo. In questo scenario liquido, abbiamo celebrato l’anniversario di quella terribile tragedia, per non dimenticare i morti e le loro famiglie, il dramma delle guerre, delle persecuzioni e della miseria, da cui essi fuggivano. Il 3 ottobre di dieci anni fa, per la prima volta i morti del Mediterraneo, furono “visibili”.
in quei giorni, quanti ci recammo, a Lampedusa abbiamo sentito l’odore della morte e visto i lampedusani piangere per quei fratelli in umanità che a mezzo miglio dalla costa sono stati inghiottiti dal mare. Abbiamo visto le immagini sui monitor dei soccorritori di decine di corpi che giacevano in fondo al mare; letto, negli occhi dei sommozzatori, il dolore provato nel recuperare quei corpi. Abbiamo ascoltato le storie di chi ce l’ha fatta, degli isolani e degli uomini e delle donne delle forze di soccorso che tesero e continuano a tendere la mano per salvarli. Dieci anni fa, fu chiaro a tutti che il nostro mare era diventato un cimitero liquido per migliaia di persone migranti vittime di naufragi anche di quelli di cui non si è mai avuta notizia (si calcola, per difetto, che sono 27.000 in dieci anni e oltre 2.000 in questo ultimo anno).
Quel giovedì non vennero inghiottite dal mare solo 368 vite, ma con loro, come abbiamo scritto sulle colonne del nostro settimanale, “naufragò un sogno: quello di un’Europa giusta e solidale; “naufragarono le nostre coscienze di europei e di cristiani abituati ormai alle morti di chi è alla ricerca di un futuro migliore. È naufragata la nostra civiltà di italiani ed europei; terrorizzati dalla paura del diverso. È naufragata la nostra identità plurale e la capacità di affrontare insieme le sfide della modernità”.
Il 3 ottobre, nel 2016, è diventato la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza, in virtù della legge 45/2016 per ricordare e commemorare, non solo le 368 vittime di quel giorno, ma tutte le vittime dell’immigrazione e promuovere iniziative di sensibilizzazione e solidarietà. E così è stato anche quest’anno grazie all’impegno di tanti uomini e donne di buona volontà, fra tutti il comitato 3 ottobre, che ogni anno organizza la Giornata della Memoria e dell’Accoglienza e l’evento “A Europe of Rights” con l’intento di “promuovere nelle giovani generazioni italiane ed europee occasioni di apprendimento, nella prospettiva di un’educazione interculturale contribuendo a sviluppare una cultura di solidarietà, accoglienza e dialogo, fondata sul pieno e consapevole rispetto dei diritti umani”. Durante le giornate di approfondimento è stata data voce alle persone sopravvissute, a chi fa soccorso in mare e a chi accoglie, ai parenti delle persone morte nel tentativo di raggiungere l’Europa, a chi ha cercato di dare un nome alle salme e a chi si occupa di accoglienza. (vedi qui) . Sull’isola le autorità civili , religiose e militari del territorio, d’Italia e d’Europa insieme a centinaia di giovani studenti si sono confrontati su temi di attualità, si sono posti in ascolto reciproco. Come gli altri anni non è mancato il lancio in mare di una corona di fiori, alla presenza delle istituzioni, dei pescatori, dei superstiti e dei parenti dei migranti morti.“La differenza – scrive Francesca Sabatinelli di Vatican News – la fa una tomba perché, seppur in una terra lontana dalla propria, permette sempre di mantenere un legame con il proprio congiunto e di poterlo piangere”, come hanno fatto diversi parenti che si sono ritrovati a Lampedusa, per andare sulla tomba dei propri congiunti, figli, genitori, amici i cui corpi furono ritrovati, tra i 368 in fondo almare. Ci sono anche coloro che una tomba dove deporre un fiore non ce l’hanno, come le decine di dispersi inghiottiti dal mare quel giorno, così come tutte le migliaia di persone annegate durante i loro viaggi verso l’Europa e dispersi in mare. Per tutti è stata lanciata una corona di fiori, come fece Papa Francesco due mesi prima della sciagura, l’otto luglio di quello stesso anno, quando ne gettò una tra le onde in ricordo di chi muore durante le traversate, chi ha trovato porti e porte chiuse.
La Commemorazione Ecumenica al Santuario della Madonna di Porto Salvo
Nel tardo pomeriggio, al calare del sole, al Santuario della Madonna di Porto Salvo si è tenuta la Commemorazione ecumenica “La memoria e l’impegno” promossa dalla Parrocchia di San Gerlando di Lampedusa, Arcidiocesi di Agrigento, Ufficio per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dell’Arcidiocesi di Agrigento, Mediterranean Hope – Federazione delle chiese evangeliche in Italia, con la partecipazione dell’Unione delle Comunità islamiche d’Italia. Al momento sono intervenuti il pastore Daniele Garrone, Presidente della Fcei, l’Imam Keith Abedelhafid, Ucoii, mons. Alessandro Damiano, Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese, con una testimonianza sui corridoi umanitari, il pastore Randy Mayer, della Chiesa Unita di Cristo (Arizona, USA). All’inizio della celebrazione ecumenica il saluto di benvenuto di don Carmelo Rizzo, Parroco di Lampedusa e un videomessaggio del cardinale Matteo Zuppi, presidente della Conferenza episcopale italiana (vedi sotto).
Mons. Alessandro Damiano: “Dalla memoria scaturisce l’impegno”
“Il fare memoria della morte e della vita – del Mediterraneo come culla o, purtroppo, come tomba – deve spingerci a impegnarci a far si ché, sempre più e sempre meglio, il Mediterraneo sia culla di vita. Manca ancora un pensiero di medio-lungo periodo sull’immigrazione in Italia e così in Europa. Troppo poco si parla e si investe sulle attività di integrazione socio-culturale”. Così monsignor Alessandro Damiano, intervenendo alla commemorazione ecumenica “Dalla memoria scaturisce l’impegno. Anzi, c’è di più: la memoria di Dio, per il semplice fatto di essere memoria, è già impegno. Più che un rapporto di causa-effetto v’è qui un rapporto, tra la memoria e l’impegno, d’identità: la memoria di Dio è sempre contemporaneamente impegno di liberazione e salvezza dell’umano. Così dovrebbe essere anche per noi”, ha affermato monsignor Damiano.
“Come Chiese e comunità di credenti non possiamo che invitare ad allargare lo sguardo su una porzione di popolazione globale che è allo stremo e chiede – al di là dell’accoglienza nella ricca Europa – giustizia globale e una più equa ridistribuzione delle ricchezze”, ha sottolineato, ricordando che “i beni della creazione sono, in linea di diritto, destinati a tutti”, perciò “devono, di fatto, «essere partecipati a tutti» in modo equo. Ogni volta che così non è, si lede la giustizia e quindi la carità. Dato teologico ed esigenza etico-politica sono inseparabili: la fede nel Dio creatore di ogni bene non può dissociarsi dalla responsabilità assegnata agli uomini di far sì che tutti abbiano accesso ai beni della creazione”. “Continuare a guardare le migrazioni come ad un’emergenza e ai migranti come a un potenziale pericolo non fa che aumentare il divario fra nord e sud del mondo: occorre invece ragionare in modo onesto sulle cause delle migrazioni e sulle nostre responsabilità, per incentivare reali e significativi progetti di sviluppo locale, contrastare la corruzione e lo sperpero di risorse, favorire processi democratici. Stiamo vivendo – ha concluso – in questi giorni ‘un presente d’emergenza’ che deve instradarci verso ‘un’emergenza del presente’, quel presente che emerge dal Mediterraneo e che ha un volto, un nome, una storia ben determinata, che è persona e che ci chiede, ci tende la mano affinché la memoria diventi impegno di vita, affinché la memoria sia la ‘culla’ di un impegno vivo e vivificante”.
Per il cardinale Matteo Maria Zuppi, “non dimenticare è un grande esercizio per tenere aperti gli occhi, per non abituarci,
per trarre lezione ancora da quella tragedia in cui centinaia di persone si sono perdute nel mare. Tragedia purtroppo ripetuta in questi anni. Poi, anche se muore una persona è sempre una tragedia. Ci deve spingere a trovare sempre delle risposte adeguate e continuative che permettano di salvare la vita e poi di affrontare un tema così grande che richiede il contributo di tutti… Richiede il contributo delle istituzioni”, osserva il cardinale che sottolinea l’esigenza di ‘una risposta europea’ a questo fenomeno. “Lampedusa non so se riceverà mai il Nobel per la pace e per l’accoglienza. Noi glielo diamo volentieri. Perché – aggiunge riferendosi ai lampedusani -. Avete dimostrato sempre tanta umanità, tanta attenzione agli altri, con tutte le difficoltà chiaramente, ma anche sempre con uno sguardo verso tanta sofferenza che ha trovato una sicurezza nell’arrivo a Lampedusa e quindi nell’essere sottratti all’immensità del mare”.
Il presidente della Cei ringrazia poi la parrocchia di san Gerlando, l’arcidiocesi di Agrigento, l’arcivescovo Alessandro Damiano, l’ufficio ecumenismo della Cei e il presidente della Federazione delle Chiese evangeliche per questo incontro. “Continua un pellegrinaggio, quello che Papa Francesco ha fatto fare a tutti noi, con il suo primo viaggio fuori dalla Città del Vaticano, proprio a Lampedusa. Manteniamo questa unità anche tra di noi, perché possiamo con più chiarezza trarre da queste terribili lezioni delle indicazioni e soprattutto la consapevolezza di affrontare un tema come questo, un problema come questo”. L’incontro di stasera – ha concluso il cardinale – può aiutare l’Italia e l’Europa a “non dimenticare” e a “guardare il futuro di chi lo cerca da noi, che però è anche il nostro”.
“Sono a Lampedusa in occasione di questo anniversario per la forte esigenza di testimoniare il significato che il tragico naufragio del 2013 ha assunto per le chiese valdesi e metodiste che rappresento – dichiara all’agenzia Nev Alessandra Trotta, Moderatora della Tavola valdese -. A Lampedusa nel 2013 è maturato un vero e proprio punto di svolta nella visione del tema delle migrazioni all’interno delle nostre chiese, da cui è scaturito un salto di qualità in un già forte impegno d’intervento, che ha fra l’altro prodotto l’ideazione e attivazione dei primi corridoi umanitari. Si aggiunge la volontà di manifestare solidarietà non soltanto ai familiari delle tante persone morte in mare – allora come purtroppo ancora oggi – ma anche alla popolazione di questa isola meravigliosa che – pur vivendo le preoccupazioni, le ansie, il dolore di una pressione costante – non hai mai perso il senso dell’umanità ed è la prima testimone di un’idea semplice: salvare vite umane in pericolo nel mare, mettere al centro la dignità delle persone salvate vengono prima di qualunque calcolo politico, prima delle legittime, differenti visioni di come possa essere gestito un fenomeno complesso e globale come quello migratorio, che le nostre chiese considerano fra i più cruciali per una coerente testimonianza evangelica nel tempo presente”.
“Storie. Storie di vita che, proprio per questo, perché “di vita”, sono finite bene – si legge ancora nel libretto dell’incontro -. Chi le ha vissute ha potuto raccontarle. Quel tre ottobre di dieci anni fa – ed è per questo che siamo qui – sono finite tragicamente. Noi oggi, credenti, non credenti, diversamente credenti, siamo qui per fare memoria di queste storie. Coltivare la memoria è ancora oggi un vaccino prezioso contro l’indifferenza e ci aiuta, in un momento così pieno di ingiustizie e di sofferenze, a ricordare che ciascuno di noi ha una coscienza e la può usare”.
Quest’ultima è una frase di Liliana Segre, che – spiega a nev.it, Marta Bernardini, coordinatrice di Mediterranean Hope, il programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, “vorremmo ci accompagnasse in questa nostra commemorazione ecumenica del 3 ottobre 2023. La memoria è un potente antidoto contro l’indifferenza e noi oggi siamo circondati dall’indifferenza. Forse non proprio oggi, quando autorità e giornalisti di tutto il mondo si sono ricordati di quanto accadde qui, a Lampedusa, il 3 ottobre del 2013. Ma in questi dieci anni, chi ha fatto memoria delle 368 persone che sono rimaste uccise dall’immigrazione forzata, dalla carenza nei soccorsi, dalle leggi ingiuste pensate e scritte per fermare persone che scappano disperate da guerre, carestie, persecuzioni? E come? La memoria non deve essere un esercizio di retorica ma un dovere umano e civile, che tiene sveglia la coscienza e – come ci insegna Liliana Segre – che ci aiuta a contrastare un mondo carico di ingiustizie e sofferenze. In mezzo a noi sono testimoni e sopravvissuti di quella storia”.