Oggi, 3 ovembre 2017, memoria liturgica di san Libertino, primo vescovo della diocesi di Agrigento, si terrà la traslazione dei resti mortali dimons. Giuseppe Petralia dalla Cattedrale di Agrigento alla Concattedrale San Domenico. La traslazione è stata resa necessaria a causa dell’acuirsi del quadro fessurativo della navata nord della Cattedrale – dove mons. Petralia nel 2000, in seguito al decesso, come da lui disposto nel testamento, era stato seppelli
Alle ore 11.00 nel coretto della cattedrale di Agrigento l’Arcivescovo,card. Montenegro, alla presenza del Capitolo Metropolitano celebrerà la S. Messa al termine della quale, dopo un breve ricordo della figura del già vescovo di Agrigento, il feretro di mons. Petralia sarà accompagnato in forma privata, nella concattedrale San Domenico, dove è stato preparato il sepolcro che accoglierà i suoi resti mortali.
Vogliamo ricordarne la figura di uomo, vescovo, poeta e direttore del nostro settimanale.
Mons. Giuseppe Petralianacque a Bisaquino, nella diocesi di Monreale il 1° gennaio del 1906. Ha iniziato la preparazione al sacerdozio nel Seminario diocesano per trasferirsi al Seminario Romano del Laterano per gli studi teologici, conseguendo il dottorato in Sacra Teologia.
È stato ordinato sacerdote il 7 aprile l928 dal card. Pompili. Ha svolto il ministero sacerdotale per i primi 17 anni nella diocesi di origine e per altri 17 anni a Palermo.
È passato alla storia, ma molti non lo sanno, come il primo vescovo antimafia. Infatti, già il 27 marzo del 1965 in un’intervista concessa al Giornale di Sicilia, aveva richiamato alla necessità di un serio studio del “fenomeno mafioso”, da non confondersi, aveva chiarito, con “la comune delinquenza organizzata”.
Nel 1974, il 10 ottobre, vede la luce il documento dei vescovi siciliani forse più signicativo dell’epoca, redatto da monsignor Giuseppe Petralia, segretario della CESi, in cui vengono esaminati i “mali sociali” dell’Isola. La crisi dell’agricoltura e dell’artigianato; l’emigrazione di massa; le larghe frange di analfabetismo e di non qualificazione professionale; la disoccupazione e la sottoccupazione; la situazione infelice delle zone colpite dal terremoto; il livello minimo del reddito medio.E infine si parla “della fosca macchia della mafia, che presume da una parte di risolvere i problemi della giustizia e dell’onore con le forme più grossolane e delittuose mentre, dall’altra, si accampa nei settori dell’industria edilizia e dei mercati con sistemi aggiornati di gangsterismo”.
Fu molto vicino al card. Ernesto Ruffini, anche se durante e dopo il Concilio, non ne condividerà la posizione conservatrice. Il rapporto tra i due può essere sintetizzato nella affermazione seguente, proprio in riferimento alla percezione del problema mafia: “Sono stato 17 anni a Palermo col cardinale Ruffini e il problema non esisteva, non lo si percepiva… Il cardinale Ruffinini? Il mio punto di vista su di lui è semplice. Sarebbe un errore considerarlo amico e protettore della mafia. Era originario di un paesino del Nord, di certe situazioni sociali non aveva neanche una lontana idea. Era un buon uomo, un’anima candida… Sapeva che esisteva un fenomeno deprecabile come la mafia, ma non capì la sua pericolosità”.
E ancora parlando della posizione di Ruffini al Concilio, da discepolo e ammiratore, ma anche da attento cronista: “La sua posizione può definirsi insieme di “difesa dell’ortodossia” e di “cauta modernità” […]. Sulla collegialità dell’episcopato, sembrò sulle prime che l’Arcivescovo di Palermo si fosse collocato all’opposizione. In realtà Egli non era convinto che la collegialità potesse rigorosamente dimostrarsi alla luce della S. Scrittura […]. Quando il terzo capitolo “De Ecclesia” fu sufficientemente chiarito dissipando ogni equivoco, soprattutto quando fu aggiunta la […] “Nota explicativa previa”, allora il Card. Ruffini appoggiò la tesi collegiale”.
Mons. Petralia si trova nella terra sicula, ma dialoga, anche, al di là di questa Sicilia.
È importante ricordare i suoi rapporti con la letteratura del tempo.
Si pensi al Convegno di studi cattolici che, per merito suo, si tenne a Palermo nel 1954, e che vide riuniti i più prestigiosi nomi della letteratura cattolica di quel periodo.
Trascorse la sua vita accanto agli uomini del pensiero e della penna.
Fu collaboratore di Parva Lucerna, di Fides. Il suo impegno culturale lo portò a collaborare con “La tradizione”di Mignosi, con “Il frontespizio”di Bargellini, Betocchi, Lisi, con “Ragguaglio”di don Paolo Ratti.
Scrisse suL’Osservatore Romano, suVita e pensiero.
Con i suoi primi lavori fu davvero precursore di una rottura dei vecchi schemi letterali, e con la sua continua produzione, da “San Paolo Apostolo”a “Maestro a Cristo vivente nei Vangeli”, dalla “Summa diSociologia cristiana”alla biografia del “Cardinale Ruffini, Arcivescovo di Palermo”diede una nuova dimensione alla presenza della fede nel mondo della cultura. Risaltano, tra la sua produzione, due dei suoi libri più letti, : Il cielo è disceso a Massabielle, aMaria madre di Gesù”.
Mons. Petralia vive, parla, prega, scrive.
La sua scrittura non è un diversivo. È la dimensione essenziale del suo essere prete, è attenzione, contestualità ai segni del tempo, alle questioni della storia. La sua è scrittura sapienziale, critica, profetica, di puntuale rispondenza ai fatti.
Si pensi alla risonanza di taluni articoli come “La zattera dei 90” (parlava dei deputati a Sala d’Ercole), le sue risposte firmateFra Galdino, i suoi molteplici commenti alle liturgie domenicali, i suoi corsivi polemici (ma sempre rispettosi della persona), la sua vicinanza al direttore deL’Ora, Pier Luigi Ingrassia, con il quale polemizzava, ma di cui era amico sincero, fino alla morte.
Benemerito del giornalismo italiano e sicilianoper la sua direzione di “Voce cattolica”e la supervisione a “Sicilia del popolo”, per la direzione de “L’Amico del Popolo”, ha meritato la medaglia d’oro al giornalismo in campo nazionale.
Docente nei seminari di Palermo e Monreale ed anche di Agrigento; maestro nella Scuola di Servizio Sociale e nella Facoltà di Giornalismo di Palermo.
Notevole è stata la sua attività poetica, la poesia era per lui il riposo dell’anima che effonde la sua gioia dinanzi al Creatore, dinanzi alle urgenze delpopolo di Dio.
Il segreto di mons. Petralia era l’intimità con Dio, l’adorazione, l’annuncio del Vangelo, la visione del dopo, del “dove”, dell’“altrove”, dei giorni penultimi.
Fedeltà sponsale al cielo, e, appunto per questo, fedeltà al tempo, alla storia, in cui si decide il cielo.
Mons. Petralia appartiene a quella scia di preti-poeti di cui scriveva don Mazzolari:”Senza poesia non c’è fede. Senza poesia l’apostolo muore, senza poesia un parroco diventa un seppellitore, senza questa poesia di fede non si può tenere un posto di combattimento, che ha solo rischi non veduti ne’ contati dagli altri, e comodità e silenzi che possono diventare una tomba.”
Poesia e storia. Della storia, la poesia di mons. Petralia, ha lo stupore religioso, il la- mento filiale, la fede nel Regno.
Vescovo del Concilio
Mons. Petralia ha guidato la Diocesi agrigentina in un periodo straordinariamente difficile per le circostanze storiche e ambientali… in anni e periodi turbinosi mons. Petralia ha esercitato il suo ufficio di maestro nella Chiesa di Dio con cristallina purezza di fede e di pensiero, con ardore apostolico… con il più fermo rigore della dottrina congiunte alla più larga comprensione, alla più generosa, fraterna carità.
Il suo episcopato si colloca tutto nella nuova atmosfera del Vaticano II.
Venne eletto vescovo il 13 ottobre 1963. Consacrato il 3 novembre festa di San Libertino, fece il suo solenne ingresso nella Diocesi di Agrigento la vigilia dell’Immacolata dello stesso anno.
È il successore dell’arcivescovo mons. G.B. Peruzzo il cui episcopato durò trentuno anni: vi s’inserisce con i suoi sedici anni e mezzo d’intensa fatica pastorale in tempi eccezionalmente difficili per la Chiesa.
Mons. Peruzzo, ebbe un suo ruolo (anche se marginale) nella preparazione e nella prima sessione del Vaticano II. Mons. Petralia ha vissuto tutto il travaglio e la gioia del Concilio, dalla II sessione della Costituzione Liturgica, alla II dellaLumen Gentium, e sino alla IV del 1965 con laGaudium et spese la solenne conclusione.
Fu subito attento agli insegnamenti conciliari, comunicando settimanalmente sulle pagine deL’Amico del Popologli svolgimenti con le “Lettere dal Concilio”. Successivamente, in occasione del suo 50° di sacerdozio, quelle lettere furono raccolte e pubblicate con alcuni capitoli introduttivi.
Così egli si esprime: “ho creduto di fare cosa utile e gradita pubblicando le lettere che inviai da Roma alla mia Chiesa di Agrigento nell’ultimo periodo del Concilio Vaticano II”.
Le ferite della frana di Agrigento, il travaglio per la riapertura della Cattedrale e la tremenda sciagura del terremoto nella Valle del Belice del 14 gennaio 1968, l’hanno visto impegnato per condividere e lenire le laceranti piaghe della popolazione.
Nonostante tutto procedeva all’attuazione delle direttive conciliari, attuando la riforma liturgica, il consiglio pastorale e presbiterale, il rinnovamento della catechesi. Le difficoltà furono tante per la stessa natura delle innovazioni e per l’indole umana e culturale del vescovo.
Lettere pastorali
Nel primo anniversario della sua consacrazione episcopale (1964) nel giorno di San Libertino mons. Petralia affermò:
“La Diocesi di Agrigento è diventata l’unica ragione della mia vita, mi sento a lei legato con un vincolo che forse nemmeno la morte potrà distruggere…
I vostri bisogni sono i miei bisogni, le vostre aspirazioni sociali e spirituali sono in tutto le mie aspirazioni. Io non vivo, io non so vivere, che per voi”.
La sua dedizione alla Chiesa agrigentina fu grande, anche se a volte il pensiero era troppo “rapito” dalla… poesia.
Manifestò la sua attenzione alla diocesi non solo stando vicino alla popolazione nei momenti drammatici (frana di Agrigento del 19 luglio 1966 e terremoto nel Belice del 14-15 gennaio 1968) ma soprattutto con le sue lettere pastorali:
• Fatemi entrare nel vostro cuore (1963);
• Unità nella carità (1964);
• Primavera liturgica (1965);
• La Chiesa del Concilio (1966);
• Il dialogo della speranza, la Chiesa e il mondo contemporaneo (1967);
• Credo del popolo di Dio (1969);
• La parrocchia comunità aperta (1972);
• La grande occasione (1974);
• Nel segno della riconciliazione (1975);
• Sofferenza e speranza della nostra Chiesa locale (1976);
• Catechesi, partecipazione, problema dei giovani per l’anno pastorale 1976/77.