Chi sabato 15 marzo é stato a Canicattì, ha avuto la possibilità di esser parte e vivere un momento storico. La città, e non solo, si è stretta attorno al suo figlio prediletto, il beato Rosario Livatino, dimostrandogli l’affetto e l’amore che, forse in vita, non ha avuto la capacità di dimostrargli.
In un caldo pomeriggio di marzo, con tantissime persone a seguire il feretro (vedi), si é tenuta la traslazione del corpo del beato giudice dalla cappella del cimitero cittadino alla Chiesa Santa Chiara.
Nella mattinata, al Palazzo vescovile di Agrigento, si é tenuto il giuramento del Tribunale ecclesiastico con la nomina del delegato episcopale per la traslazione e la ricognizione canonica, del promotore di Giustizia, del notaio, dei periti medico-anatomici, dei tecnici e dei testimoni. (vedi qui)

Nel primo pomeriggio i componenti del tribunale, alla presenza del clero locale, delle autorità civili e militari della Città e provincia, dei rappresentanti della comunità civile ed ecclesiale, hanno preso parte al momento in cui si è proceduto con l’estumulazione del corpo del beato Livatino. L’Arcivescovo, dopo avere tolto i sigilli posti all’ingresso della cappella, ha ordinato, agli addetti all’operazione, di procedere alla apertura della sepoltura e all’estrazione della cassa lignea contenente il corpo del beato Livatino. Tolta la lapide e aperto il loculo, la cassa lignea, trovata in uno stato di buona conservazione, é stata sistemata in una ulteriore cassa in zinco ed avvolta in un drappo rosso. Sul feretro é stato adagiato il libro dei Vangeli.
Dal Cimitero é poi partito il corteo (vedi) che ha attraversato le vie Nazionale, Capitano Ippolito, piazza IV novembre, corso Umberto. Una prima sosta é stata fatta davanti il Palazzo di Città, dove la cassa con i resti mortali del beato giudice, é stata posta su un carrello processionale che, spinto a mano, ha raggiunto la Chiesa San Diego, sulla cui facciata campeggiava il motto con cui il beato vergava le sue agende: “Sub Tutela Dei”. Proprio lì il primo dei tanti momenti toccanti: l’abbraccio del beato Livatino con la sua gente, proprio in quella Chiesa dove, nel settembre del 1990, si tennero i funerali di Rosario Livatino barbaramente ucciso dalla mafia il 21 settembre 1990. Sul sagrato della Chiesa San Diego l’arcivescovo Alessandro dopo un momento di preghiera comunitario ha dato inizio alla processione: «Iniziamo il nostro pellegrinaggio – ha detto mons. Damiano – accompagnati dalla sua presenza, perché sorretti dal suo esempio e spronati dalla sua testimonianza, possiamo raggiungere la meta, Cristo Signore. Invochiamo lo Spirito di Dio perché ci sostenga nel cammino e come fuoco infiammi il nostro ardore per seguire il Signore».
Due ali di popolo hanno scortato ed accompagnato il beato Livatino nella sua nuova dimora. Il viale Regina Margherita é apparso come un fiume umano che ha avvolto il beato Livatino.
Secondo momento ricco di emozione la breve sosta all’incrocio con via Cattaneo in fondo alla quale si erge la chiesa San Domenico, la parrocchia frequentata dalla famiglia Livatino. Suggestivo il momento in cui il beato é “ritornato” con la sosta dinanzi la casa sua abitazione. «Ringraziamo il Signore – ha detto mons. Damiano – per il dono della vita e la trasmissione della fede che lui ha ricevuto attraverso l’amore dei suoi genitori Vincenzo e Rosalia. Nella semplicità del focolare domestico imparò a conoscere l’amore di Dio e l’amore per la giustizia».
Il pellegrinaggio si é concluso con l’arrivo dei resti mortali del beato nella Chiesa santa Chiara. Il feretro posto al centro dell’aula liturgica con gli uomini dell’Arma dei Carabinieri e del corpo della Guardia di Finanza e della Polizia di Stato a svolgere il servizio d’onore, con il gruppo scouts a fare da corona. Durante il momento di preghiera i presenti si sono posti in ascolto della Parola del Vangelo, “Nessuno accende una lampada e poi la mette in un luogo nascosto o sotto il moggio, ma sul candelabro, perché chi entra veda la luce” (Lc 11,33), e di un brano tratto dalla conferenza su “Fede e diritto” tenuta dal beato Livatino nell’Istituto delle Suore Vocazioniste, a Canicattì, il 30 aprile 1986.
Le parole dell’arcivescovo Alessandro:«Modello di discepolo, segno visibile di chi ha vissuto la Pasqua di Cristo e si è conformato pienamente a Lui con il dono della vita». Con queste parole, riferite al beato Livatino, l’arcivescovo ha iniziato il suo intervento in cui si é soffermato sulla vita ed il messaggio lasciatoci dal giudice beato chiedendo ai presenti di «traslare nella nostra vita i valori/atteggiamenti che hanno caratterizzato la vita del Beato Rosario Angelo Livatino».
L’arcivescovo, traendo spunto dalla conferenza, “Fede e Diritto” ne ha ripreso alcuni brani: «Avvertirà (il giudice, ndr) con umiltà le proprie debolezze»; «Comprendere l’uomo che ha di fronte e a giudicarlo senza atteggiamento da superuomo, ma anzi con costruttiva contrizione»; «La legge dell’amore, la forza vivificatrice della fede a risolvere il problema radicalmente».
Mons. Damiano ha, ancora una volta, invitato tutte le comunità ecclesiali a “trovare spazi di confronto per chiederci come stiamo vivendo e annunciando tutto questo e come il Giubileo possa aiutarci a orientare in tale direzione il nostro cammino ecclesiale attorno a tre tracce: restituire a noi stessi la percezione di essere abitati dallo Spirito Santo, che ci metta nelle condizioni di accogliere e vivere la vita nuova; restituire a Dio il volto di Padre misericordioso, che soppianti quello più comunemente diffuso di giudice implacabile; restituire al Vangelo il suo vero contenuto, che riesca a scuoterci e a metterci seriamente in discussione restituire a ogni persona la dignità umana, che spesso siamo portati a negare e offendere; restituire alla comunità cristiana la concretezza di un cristianesimo vissuto, che la preservi dal rischio di un cattolicesimo convenzionale e formale».
E ritornando sulla figura del beato «Il compito dell’operatore del diritto, del magistrato – ha detto citando ancora Livatino – è quello di decidere; orbene, decidere è scegliere e a volte scegliere fra numerose cose o strade o soluzioni; e scegliere è una delle cose più difficili che l’uomo sia chiamato a fare…» Tutti – ha proseguito mons. Damiano – siamo chiamati o scegliere, ogni giorno, dalle cose più semplici, che quasi non richiedono un ragionamento, a quelle più impegnative che possono cambiare la vita, la propria e quella degli altri, addirittura la sorte dei popoli. Non soltanto perché la scelta dirime una problematica del passato, ma anche perché molto spesso la scelta comporta una previsione degli effetti a venire». In conclusione, commentando la pagina del Vangelo: «Nessuno accende una lampada e poi la mette in un luogo nascosto o sotto il moggio, ma sul candelabro, perché chi entra veda la luce» ha indicato in Livatino, secondo la felice intuizione di mons. Ferraro nell’omelia il giorno dei funerali, «un faro, un esempio che la Chiesa ci offre, che illumina la via delle nostre vite».
Terminato l’intervento dell’arcivescovo, il notaio, don Giuseppe Lentini, ha dato lettura del decreto di nomina del Tribunale e dopo la benedizione, al suono delle campane e tra gli applausi dei tanti che gremivano la Chiesa, il feretro é stato portato in una stanza, appositamente preparata, dei locali parrocchiali, dove ha avuto inizio la fase strettamente privata della ricognizione canonica.
Marilisa Della Monica – Carmelo Petrone