Giovedì 14 giugno si è celebrata, a Palma di Montechiaro, la Giornata diocesana di fraternità di presbiteri e diaconi, a coronamento delle attività spirituali e formative questo momento di preghiera dell’anno pastorale in corso. Nella Giornata di preghiera, sosta e festa, i presbiteri e diaconi dell’Arcidiocesi di Agrigento, insieme alla comunità palmese, si sono riuniti accanto all’Arcivescovo Francesco, per ringraziare il Signore per il decimo anniversario del servizio episcopale alla chiesa agrigentina, il diciottesimo anniversario della sua consacrazione episcopale e il suo 72° compleanno.
In questo giorno di gioia hanno fatto da stupenda cornice la visita dei luoghi ecclesiastici del paese: la Chiesa Madre, la Chiesa e il Monastero Benedettino.
Un tuffo – guidati da Domenica Brancato, storica dell’arte dell’ufficio BB.CC.EE. – nella storia di Palma di Montechiaro che si distingue dalle altre fondazioni feudali secentesche per la vicenda mistica dei fondatori. I gemelli Carlo e Giulio Tomasi Caro pianificarono la loro città feudale come una nuova Gerusalemme, vivendo nella mortificazione e penitenza. Un grande progetto attuato dall’umanista e primo arciprete di Palma Giovan Battista Hodierna, ideando un tracciato ideale e penitenziale, che trova nell’arte la sua più alta e chiara manifestazione.
La Chiesa del Monastero, originariamente cappella privata del primo Palazzo ducale, nonché luogo della posa della prima pietra di fondazione del paese, il 3 maggio 1637, mantiene oggi la facies originaria di Monastero benedettino di clausura, fondato il 12 giugno 1659: dalla ruota, unico strumento di comunicazione con il mondo esterno, alle grate, da cui le suore potevano ascoltare ed assistere alla Santa Messa; dal Coro usuale delle suore, all’insolito Coro delle Converse, luogo destinato alle suore prive di dote; dalle celle della Clausura ai luoghi più intimi del Romitorio.
Il Monastero di Palma di Montechiaro, rara espressione della riforma dei monasteri femminili post-tridentini, mantiene oggi tutti i luoghi e le regole originarie, tra cui l’obbligo della clausura.
Per la Giornata di fraternità del clero agrigentino sono stati aperti il Parlatorio e i luoghi della clausura, ancora vissuta dalle quattro suore presenti. Varcata la scala detta “del dottore”, perché l’unica figura a cui era ammesso l’accesso ai luoghi claustrali, si sono visitate le strutture interne del monastero: la “Stanza del Capitolo”, luogo destinato alle riunioni della comunità monastica, con l’originario pavimento in maiolica settecentesca e un antico Sepolcro secentesco in legno sagomato e dipinta nella rara e antica tecnica dei “Cartelami”. Si sono visitate le celle della clausura, tra cui la stanza della Venerabile Suor Maria Crocifissa, con il suo lettino, la cappelletta privata e i suoi oggetti personali, legati al suo percorso di fede e spiritualità mistica. A seguire si è visitato il “Romitorio”. Quest’ultimo si è aggiunto a fine Seicento, luogo definito “clausura dentro la clausura”, ovvero un ritiro più intimo e introspettivo, riservato a poche suore. Oggi, dopo svariate modifiche degli spazi interni, rimane il Coro delle romite o “Cappella del rifugio” e il “giardino delle romite”.
La Spiritualità presente nella Terra di Palma di Montechiaro ha prodotto una eccezionale risposta artistica, che si è espressa in ogni angolo del Monastero: il seicentesco soffitto a cassettoni ligneo intagliato e dipinto, nel pavimento in tarsie marmoree, le scenografiche macchine d’altare barocche con sipari teatrali, la ricca produzione pittorica, legata al pittore palmese Domenico Provenzani, allievo di Filippo Randazzo e a Ottavio Volante della scuola di Sciacca.
Per l’occasione la Chiesa è stata arricchita da paliotti ricamati (rivestimenti d’altare) dalle suore medesime, di cui si conservano ancora i disegni preparatori. Preziosi ornamenti che solitamente scandiscono le festività del calendario liturgico.
All’inizio della Celebrazione Eucaristica il Vicario generale, a nome dei presbiteri e dei diaconi dell’Arcidiocesi, ha rivolto un saluto e un ringraziamento all’arcivescovo Francesco: «In questi dieci anni di episcopato non sempre abbiamo avuto modo di festeggiare insieme i tuoi anniversari – ha detto mons. Vutera – sia per il tuo carattere semplice, schivo da elogi e onori, sia per la tua intensa attività di pastore al servizio non solo della nostra Chiesa agrigentina, ma molto spesso peregrino per le vie del mondo al servizio della Chiesa universale. Caro don Franco, cosa augurarti in questo giorno di festa? Sappiamo che diventare vescovo è una grazia singolare, ma è anche un peso che talvolta sembra schiacciarti le spalle, e che rimane tuttavia motivo di gioia da diffondere anche quando il cuore sanguina. Ti salverà dallo scoraggiamento – ha proseguito il Vicario generale – la certezza d’aver obbedito alla Chiesa e al Signore nell’accettare questo incarico. La responsabilità è di Cristo. La gioia ti verrà dal contatto con lui e dalla comunione con i tuoi cari presbiteri che questa mattina ti fanno corona e gioiscono e pregano per te; ti verrà dai numerosi fedeli che il Signore ti ha affidato che ti stimano e ti vogliono bene. Carissimo don Franco, il decimo anniversario del tuo servizio episcopale alla nostra Chiesa è una rinnovata opportunità e una bella occasione per ridirti il nostro affetto e la nostra gratitudine per la tua presenza e il tuo ricco ministero fra noi. Ben volentieri mi faccio portavoce dei sentimenti di tutti. Non è il momento di fare un bilancio di questi dieci anni del tuo ministero tra noi, ma voglio ricordare come in questi dieci anni tu ci abbia sollecitati con il tuo magistero, a essere una Chiesa generativa, bella, attraente, tonica… Ci hai spronati al risveglio, alla trasmissione e purificazione della fede delle nostre comunità, riproponendo con fermezza le esigenze della comunione e la responsabilità della missione, rilanciando con tenacia l’impegno della formazione, ripensando con lungimiranza l’identità e l’azione delle parrocchie nell’intero territorio diocesano, il rilancio del cammino vocazionale del Seminario e il rinnovamento del Presbiterio, con un preciso progetto formativo che mira a rilanciare la disponibilità missionaria, superando il ristagno di rimanere per anni nello stesso posto, il superamento delle ferite del passato per creare fraternità e comunione nel presbiterio, la disponibilità a vivere nuove forme di vita comunitaria con il progetto di creare piccole comunità sacerdotali in ogni Forania. Oggi – ha concluso mons. Vutera – a nome di tutti vorrei chiederti scusa per tutte le volte che ti abbiamo fatto soffrire. Ma ti posso assicurare che ti vogliamo bene e ti apprezziamo per la tua sincerità, a volte manifestata in modo energico per spronarci a camminare nella fedeltà al nostro ministero. Ti ringraziamo dal profondo del nostro cuore, assicurandoti la nostra preghiera e porgendoti i nostri più affettuosi e cordiali auguri di fecondo lavoro apostolico». Al termine della Celebrazione sono stati consegnati all’arcivescovo i doni del clero agrigentino: una mitria con ricamato un ramo di mandorlo e un Pastorale con un inserto in argento nel quale sono cesellate le immagini di San Gerlando, S. Benedetto il moro, la Madonna Assunta, il Sigillo della Chiesa agrigentina, lo stemma dell’arcivescovo e la Cattedrale di Agrigento.