Nel giorno della Commemorazione dei fedeli defunti, l’arcivescovo Francesco Montenegro ha celebrato la Santa Messa nella città di Agrigento, nei due cimiteri cittadini.
«Il giorno della Commemorazione dei fedeli defunti – ha detto l’arcivescovo Francesco – ritorna annualmente portando con sé ricordi, lacrime è nostalgia. Ma per noi credenti anche fiducia e speranza cristiana. È stato Gesù a dirci con la sua morte in croce che l’uomo non è condannato alla morte ma è destinato alla vita quella del cielo. È dalla croce che si irradia quella luce che trasforma la morte da un assurdo che spaventa a un gesto di eterno amore di Dio per l’umanità. Se e quando ci si sente amati da Dio anche la sofferenza, la fatica, la morte acquistano un senso e un valore tali che superano i confini del tempo e raggiungono il cuore dell’eternità. Non è facile parlare di morte soprattutto in un tempo bizzarro come il nostro. Non è strano? Si fa di tutto per nasconderla, evitiamo anche di chiamarla per nome E poi la si banalizza addirittura la si spettacolarizza. Basta accendere la tv o andare al cinema per essere travolti da immagini che parlano di violenza di morte fino a confondere i confini del reale, del fantastico e del ricreativo. Per questo motivo approfittiamo di questo giorno – ha detto ai presenti – per puntare lo sguardo, nel silenzio e anche con stupore, sulla croce che era il supplizio degli infami e su Gesù che vi muore appeso. Con questo gesto Egli si compromette al massimo per noi e contemporaneamente ci svela il suo amore che è totale, estremo e scandaloso. Dinnanzi ad un Dio – ha proseguito il cardinale- che ama l’uomo fino a questo punto anche la morte acquista un volto nuovo. Se la croce è il metro dell’amore di Dio per noi, se Egli ha attraversato e subito la morte allora essa può fare meno paura perché è visitata da Dio. Egli non può abbandonarci nella e non può essere un Dio che ci ruba la vita dopo avercela donata.
Dal Golgota in poi la morte non può più essere intesa come vero un baratro che segna la fine dei sogni e delle speranze umane. Ma è attraversata da una luce particolare, che parla anche in un simile momento, di vita. Questo significa il cero acceso vicino alla barra durante la celebrazione dei funerali. La morte di Cristo non è solo la dimostrazione visibile del suo amore; essa, ecco l’aggiunta, modifica la condizione dell’umanità, la libera dal peccato, e noi perciò possiamo parlare di vita eterna. Lo abbiamo ascoltato, Giobbe lo ha detto “Io so che il mio redentore è vivo, io lo vedrò e i miei occhi lo contempleranno non da straniero”. Affermo ciò per dire che la morte ci obbliga ad una scelta o chiuderci nel nostro guscio, stretti da paura o aprirci, senza condizioni, alla speranza e alla fiducia di Dio. Accettare questo significa dare fiducia a Dio e attendere la salvezza che lui ci offre ma anche attendere Lui. Prepararsi alla morte come quando ci si prepara ad un incontro piacevole ed importante. Accettarlo significa confidare davvero e sempre, durante la vita nell’amore e nella potenza di Dio. È la stessa esperienza che facciamo tra noi nella nostra esistenza terrena aver fiducia in qualcuno significa affidarsi di lui ed amarlo senza riserve, sperare e desiderare di stare in amicizia per sempre con lui, ecco che ci sono di conforto le parole di Gesù che abbiamo ascoltato: “Questa è la volontà del Padre mio che chiunque vede il figlio e crede in lui abbia la vita eterna, io lo risusciterò nell’ultimo giorno”.
Senza questo atteggiamento di fiducia in Dio, la nostra fede, resterà gracile e fragile.
I santi ci insegnano che questo abbandono totale vale proprio nel momento della morte quando le certezze umane e gli appoggi sicuri vengono meno. Ora capiamo perché S.Francesco chiamava la morte “sorella” e Don Guanella l’ha chiamata “mamma”.
Abbiamo bisogno di pensare alla morte di Cristo in questo nostro muoverci oggi tra le tombe alla ricerca dei nostri cari. Mentre li ricordiamo e preghiamo per loro nello stesso tempo ripetiamo la nostra obbedienza e abbandono al Padre che è nei cieli. L’incontro con i nostri cari diventi per noi incontro con Dio che ci parla di vita.
Non pensate che parlando così intenda cancellare la drammaticità della morte ma quello che tento è di sottolineare che nella fede questo passaggio segna l’uscita da una condizione meno felice ad una condizione più felice. Un passaggio dal bene al meglio. Ho detto dal bene perché la vita presente non è un male, questa vita è sempre dono di Dio. Diceva Benedetta Bianchi Porro da un letto che era divenuto la sua casa completamente paralizzata, cieca sorda e muta diceva: “io penso che cosa meravigliosa è la vita anche nei suoi aspetti più terribili e la mia anima è piena di gratitudine e d’amore verso Dio per questo”. E mi piace prima di chiudere con le parole di Montale, che già qualche anno fa vi ho ricordato lui dice “la morte odora di risurrezione”. Il nostro pensiero perciò e la nostra preghiera vada ai nostri morti ma vada anche ai defunti migranti ospiti nei nostri camposanti ed a coloro per i quali il mare è diventato una tomba. “Quelle morti ci interessano. Sono fratelli nostri che, seppure col colore della pelle diversa, appartengono alla famiglia umana e molti alla nostra famiglia cristiana.
Sono morti che vanno pianti assieme ai nostri cari, che devono scuotere le nostre coscienze e farci riflettere che il paradiso resta lontano per noi se in questa terra non siamo in grado di annullare le differenze e le diversità. Il loro silenzio è grido che Dio ascolta, come ha ascolto quello del suo popolo prigioniero del faraone. Chiediamo perdono per il nostro egoismo e chiediamo al Signore che ci aiuti a comprendere cosa vuol dire vivere da cristiani, e ci aiuti a fare le scelte giuste, a prendere le decisioni giuste ad affrontare nel momento giusto le situazioni soprattutto se difficili. Ci aiuti ad essere capaci di dare le risposte giuste del ed alla vita. Perciò mentre preghiamo per i nostri cari, raccomandiamo loro e tutti i defunti alla misericordia di Dio chiediamo al Signore di aumentare la nostra fede e di farci sentire sempre il profumo della sua Pasqua”.