Avevo chiesto più volte a don Lillo Terrasi, parroco della parrocchia S. Francesco di Paola di Agrigento di ricollocare in Chiesa l’antica statua lignea di San Francesco di Paola, custodita nel salone sottostante. Non potevo vederla lì, in un cantuccio, quella bellissima immagine dell’Eremita, fondatore l’Ordine dei padri Minimi. Per questo sono rimasto sorpreso quando, sabato 14 novembre, don Lillo, prima di pranzo, mi invita a seguirlo in Chiesa, mi porta davanti l’altare e mi chiede: “Noti niente?”. Dopo pochi secondi di esplorazione a 360 gradi esclamò: “La statua!” L’aveva appena, con l’aiuto di un gruppo di fedeli, collocata, previo nulla osta dell’ufficio BBCCEE della Curia, nella nicchia a destra prima del presbiterio. Abitando nella casa del clero, attigua alla Chiesa, un tempo convento dei padri Minimi di Agrigento, per la Messa serale ho registrato l’apprezzamento dei fedeli per la ricollocazione. Nei giorni successivi, don Lillo, volendo sapere di più della scultura chiede pubblicamente ai sui parrocchiani se qualcuno avesse notizie in merito.
Ma ecco il contributo che aiuta a collocarla nel tempo: col passa parola tra i fedeli, la richiesta di don Lillo giunge, tramite un amico, a Luca Festalunga, giovane empedoclino laureato in Storia dell’Arte che, nel suo percorso di studi, si era imbattuto in notizie in merito alla statua. Saputo della richiesta, prepara una scheda con la citazione di documenti già pubblicati che avevano individuato autore e committenza del manufatto, conclusioni a cui – appena vista la statua – durante un sopralluogo, era giunta la Storica dell’Arte dell’Ufficio Beni Culturali dell’Arcidiocesi, Domenica Brancato, secondo cui, attingendo alle stesse fonti, la datazione dell’opera era ben antecedente al periodo in cui opera il Bagnasco e quindi non a lui attribuibile.
Pubblichiamo la scheda redatta da Luca, al fine di conoscere meglio un’opera per diverso tempo rimasta inaccessibile alla fruizione e alla venerazione dei fedeli, anche se resta, da frugare come il nome del Bagnasco sia stato legato nel tempo alla statua. Un errore di attribuzione? Se si, chi lo ha commesso? Ma ancora: è probabile che in chiesa ci fosse un’altra statua realizzata dal Bagnasco? Se si, che fine ha fatto?
Ma procediamo con ordine, Luca Festalunga nella scheda, citando fonti già edite, indica in MARIO GARRAFFA l’autore del San Francesco di Paola, in legno di pioppo intagliato e dipinto, 1597-1599, conservato nell’omonima chiesa di Agrigento. Quanto alla committenza si legge nella scheda che “Il 31 dicembre 1596 frate Bartolo da Girgenti, procuratore del convento dei Minimi della città, a nome del correttore, padre Giovanni da Girgenti, commissionò allo scultore palermitano Mario Garraffa la realizzazione di un simulacro ligneo di San Francesco di Paola, fondatore dell’Ordine, al prezzo di venti onze. Secondo un primo contratto notarile, parzialmente riportato da Giovanni Mendola (cfr. Maestri del legno a Palermo…, in Manufacere et scolpire…, 2012, p. 163), trascrizione da cui attinge Calogero Faustino Infantino (cfr. Ràbato sacro, 2019, pp. 312-313), l’opera doveva essere ricavata interamente da un unico tronco di pioppo escluso il capo, alta sette palmi (poco più di 180 centimetri), con «tutto lo zoccolo et con una bella testa et fachi devota con lo vestimento et manichi alla osanza monacali et li soi mani venati […] incarnato in oglio et colorito tutto in oglio con la diadema in testa scolpita di carità a modo di raya et lo suo scannello sutto li pedi del d(ett)o Santo con tre miracoli zoe lo miraculo de lo morto resuscitato con soi cruci petri et monaci et cataletto con d(ett)o morto resuscitato; lo miracolo di li languidi sanati con multi stupiati et il s(an)to con lo suo compagno et l’altro miracolo quando passa il mare s(opr)a il mantello et con il compagno et con la barca da lontano et li ditti personaggi siano dorati et coloriti in oglio […] et lo detto scanello con li soi termini alli cantoneri et con soi cornichi», da consegnarsi nella bottega dello scultore entro il mese di luglio dell’anno successivo.
La data di consegna non fu rispettata, o perché l’opera non fu completata in tempo, come farebbe ipotizzare l’annotazione a margine datata 8 agosto 1597 circa il pagamento di otto onze e mezza, fideiussore il pittore trapanese Francesco Madia, dunque qualche giorno dopo la scadenza prevista, o perché il Garraffa non ottemperò all’iconografia prevista, forse motivo per cui fu necessario un secondo contratto, rogato il 17 maggio 1599, avente gli stessi protagonisti. Il santo doveva essere stavolta rappresentato «con lo naso aquilino et una bella testa e fachi devota con suo vestimento e manichi monacali e soi mani venato e pedi co li gidditi ben fatti et separati un diggito di laltro», secondo un disegno fornito dal committente, verosimilmente una copia del quadro del pittore francese Jean Bourdichon, «incarnato et colorito tutto in oglio fino», con «la diadema in testa dorata et colorita scolpita di carità a modo di raja et con lo scannello sotto li pedi di d(ett)o santo con tre miraculi», da consegnarsi entro il mese di luglio allo stesso prezzo di venti onze. La statua – si legge ancora – , nonostante le attuali condizioni pietose e mutila di qualche falange, è in grado di tramandare i dettami iconografici pattuiti nei due contratti notarili, ad eccezione dello scannello, privo della rappresentazione dei tre miracoli tratti dall’agiografia del santo e del diadema forse asportati: il santo è rappresentato a figura intera, vestito con il classico saio dei Minimi caratterizzato da un drappeggio pressoché rettilineo ed essenziale che scopre appena il volto, basso e gravato dalla vecchiaia, contornato da una lunga barba minuziosamente scolpita, le mani venose che originariamente dovevano stringere entrambe un bastone o una canna non corrispondente con l’attuale più corto, e i piedi che vestono umili zoccoli. La citazione del pittore Francesco Madia nel primo contratto permette di attribuire al pittore trapanese di origine, ma residente a Palermo, la pittura ad olio della statua, mentre la postura riecheggia le soluzioni iconografiche del già menzionato quadro del Bourdichon, assai caro ai Minimi e ai devoti del santo di Paola perché considerato il vero ritratto dal momento che l’artista aveva utilizzato come fonte iconografica la maschera funeraria. Il quadro, purtroppo oggi disperso, è a noi noto grazie a riproduzioni incisorie successive”.
L’auspicio è che, questo fatto, sproni altri presbiteri a tirare fuori dai depositi delle nostre chieste le opere d’arte sacra, valorizzarle e magari ricollocare in chiesa restituendoli alla venerazione dei fedeli, motivo per cui sono state commissionate e realizzate.
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Bibliografia:
- INFANTINO CALOGERO FAUSTINO, Ràbato sacro: chiese, conventi e ospedali di un quartiere storico di Girgenti, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2019, pp. 311-313.
- MENDOLA GIOVANNI, Maestri del legno a Palermo fra tardo Gotico e Barocco, in Manufacere et scolpire in lignamine: scultura e intaglio in legno in Sicilia tra Rinascimento e Barocco, a cura di Teresa Pugliatti, Salvatore Rizzo e Paolo Russo, Catania, Giuseppe Maimone Editore, 2012, p. 163.