Mons. Damiano: “fare memoria di san Calogero è scendere nella pancia della pietà popolare agrigentina”

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La S. Messa (foto Carmelo Principato)

Sabato 18 giugno 2022, alle ore 18:30, nella memoria liturgica di San Calogero, mons. Alessandro Damiano, ha presieduto nel il  Santuario di Agrigento, la S. Messa nei primi vespri della Solennità del Corpo e del Sangue di nostro Signore Gesù Cristo.

Durante l’omelia – facendo riferimento a quanto detto lo scorso 4 luglio, “prima di San Calogero”, in piazza Stazione (vedi) –  ha ribadito come  “ogni volta che — spinti da quel «ecchiamamu a cu’ n’aiuta» — gridiamo «viva San Calò», dovremmo sintonizzarci con il suo sguardo, per lasciarci proiettare verso Dio, da cui proviene ogni grazia, e verso gli uomini e le donne che ci vivono accanto, con i quali dobbiamo saper condividere la grazia di Dio. Dovremmo risvegliare in noi il desiderio del bene, l’impegno per la giustizia e l’amore per la sapienza, che il suo nome di “bel vecchio” misticamente evoca, i suoi sono «occhi di eremita, alzati al cielo, e occhi di taumaturgo, puntati sulla terra»”.

Usando,  poi, una immagine suggestiva ha ha proseguito dicendo che “fare memoria di san Calogero è scendere nella pancia della pietà popolare agrigentina, un aspetto dell’evangelizzazione – ha aggiunto – che non può lasciare insensibili”.

Ha proseguito l’intervento omiletico, citando l’insegnamento di Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi  – facendo, così,  proprio l’invito, del 9 giugno scorso, di papa Francesco ai preti e vescovi di Sicilia di riscoprire questo testo (vedi) –   ha evidenziato come «La religiosità popolare, si può dire, ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare un’autentica adesione di fede. Ma se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio (…) rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. A motivo di questi aspetti, Noi la chiamiamo volentieri «pietà popolare», cioè religione del popolo, piuttosto che religiosità. (…) Una realtà così ricca e insieme così vulnerabile. Prima di tutto, occorre esservi sensibili, saper cogliere le sue dimensioni interiori e i suoi valori innegabili, essere disposti ad aiutarla a superare i suoi rischi di deviazione. Ben orientata, questa religiosità popolare può essere sempre più, per le nostre masse popolari, un vero incontro con Dio in Gesù Cristo (cfr. Paolo VI, EN 48)

Rivolto poi ai fedeli presenti alla celebrazione ha chiesto:  “Mentre non ci stanchiamo di invocare l’aiuto di san Calò dobbiamo anche chiederci in cosa ci è maestro. La risposta può sembrare banale: in una vita  modellata sul Vangelo secondo la condizione di ciascuno che poi è l’orizzonte di vita per tutti i battezzati. Non c’è altro modo autentico per onorare i santi che imitarne le virtù. Gli uomini e le donne illustri per la fede, per aver condotto la loro vita al cospetto di Dio, prima di essere mediatori a cui ricorrere devono essere principi di azione della nostra vita di credenti”.

E con le parole di Papa, Francesco, contenute nella esortazione sulla santità nel mondo contemporaneo  ha ricordato che «per un cristiano non è possibile pensare alla propria missione sulla terra senza concepirla come un cammino di santità, perché «questa infatti è volontà di Dio, la vostra santificazione» (1 Ts 4,3). Ogni santo è una missione; è un progetto del Padre per riflettere e incarnare, in un momento determinato della storia, un aspetto del Vangelo. Tale missione trova pienezza di senso in Cristo e si può comprendere solo a partire da Lui. In fondo, la santità è vivere in unione con Lui i misteri della sua vita. Consiste nell’unirsi alla morte e risurrezione del Signore in modo unico e personale, nel morire e risorgere continuamente con Lui. Ma può anche implicare di riprodurre nella propria esistenza diversi aspetti della vita terrena di Gesù: la vita nascosta, la vita comunitaria, la vicinanza agli ultimi, la povertà e altre manifestazioni del suo donarsi per amore. La contemplazione di questi misteri, come proponeva sant’Ignazio di Loyola, ci orienta a renderli carne nelle nostre scelte e nei nostri atteggiamenti. Il disegno del Padre è Cristo, e noi in Lui. In definitiva, è Cristo che ama in noi, perché «la santità non è altro che la carità pienamente vissuta». Pertanto, «la misura della santità è data dalla statura che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo tutta la nostra vita sulla sua». Così, ciascun santo è un messaggio che lo Spirito Santo trae dalla ricchezza di Gesù Cristo e dona al suo popolo.

Questo è un forte richiamo per tutti noi. (continua Papa Francesco) Anche tu hai bisogno di concepire la totalità della tua vita come una missione. Prova a farlo ascoltando Dio nella preghiera e riconoscendo i segni che Egli ti offre. Chiedi sempre allo Spirito che cosa Gesù si attende da te in ogni momento della tua esistenza e in ogni scelta che devi fare, per discernere il posto che ciò occupa nella tua missione. E permettigli di plasmare in te quel mistero personale che possa riflettere Gesù Cristo nel mondo di oggi.  Voglia il Cielo che tu possa riconoscere qual è quella parola, quel messaggio di Gesù che Dio desidera dire al mondo con la tua vita. Lasciati trasformare, lasciati rinnovare dallo Spirito – ha concluso – , affinché ciò sia possibile, e così la tua preziosa missione non andrà perduta. Il Signore la porterà a compimento anche in mezzo ai tuoi errori e ai tuoi momenti negativi, purché tu non abbandoni la via dell’amore e rimanga sempre aperto alla sua azione soprannaturale che purifica e illumina» (cfr. Francesco, Gaudete et exsultate 19/24)