Ordinariato Militare: P.A.S.F.A. in pellegrinaggio sulle orme del beato Rosario Livatino

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L’associazione per l’Assistenza spirituale alle Forze armate (P.A.S.F.A.), aggregazione laicale dell’Ordinariato militare per l’Italia, ha tenuto un pellegrinaggio nazionale sulle “orme” del beato Rosario Angelo Livatino, con l’intendo di conoscere meglio il magistero e la santità del Giudice Beato Rosario Angelo Livatino, martire della mafia. Guidato dalla presidente nazionale, Maria Giovanna Iommi, il pellegrinaggio  ha avuto come prima tappa , nella mattina del 6 novembre, la sosta alla stele che ricorda il luogo dell’uccisione del Magistrato in contrada Gasena sulla SS 640.

Domenica 7 novembre, i pellegrini hanno fatto sosta alla tomba del magistrato nel cimitero di Canicattì, quindi alla casa natale di via Regina Margherita 166, accolti dall’Associazione “Casa Giudice Livatino che tiene viva la memoria, conservando intatto l’immobile,  con le cose care al Giudice e ai suoi genitori,  così come si presentava il giorno della morte. Al termine della visita la presidente del P.A.S.F.A. ha ha donato il Crest  all’Associazione ringraziandoli per questo prezioso impegno a servizio della collettività.

I pellegrini, inoltre, hanno avuto modo di venerare e di fermarsi in preghiera dinanzi la teca con la reliquia del Giudice, la camicia intrisa di sangue indossata il giorno dell’assassinio. Prima della Celebrazione Eucaristica hanno incontrato l’Associazione “Amici del Giudice Rosario Angelo Livatino” e don Giuseppe Livatino, postulatole della fase diocesana del processo di beatificazione. Al termine dell’incontro anche a loro il P.A.S.F.A. ha donato il Crest e una Bandiera. Il pellegrinaggio si è concluso con la S. Messa – nella chiesa san Domenico, parrocchia di Rosario Livatino – presieduta dall’arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia, mons. Santo Marcianò alla  presenza delle autorità religiose, civili e militari.

Nell’omelia (ascolta qui) mons. Marcianò ha tratteggiato il giudice Livatino come Magistrato integerrimo che non si è mai lasciato corrompere. Alla luce della Parola proclamata, lo ha definito “un profeta di integrità e di fedeltà”, “una testimonianza preziosa di vita cristiana tradotta in servizio di bene comune. Era un giudice integerrimo che non si è mai lasciato corrompere. Vorrei definirlo così: un profeta di integrità che significa totalità”  Livatino – ha proseguito – ha lottato contro l’ingiustizia con una vita posta al servizio della giustizia; non la predicava, la viveva. Non era semplicemente un operatore del diritto ma un operatore di giustizia. “La corruzione – ha detto l’arcivescovo castrense – consuma lentamente e si rende evidente quando ha ormai divorato chi la pratica. Rosario Livatino ha lottato contro la corruzione anche riguardante la giustizia. Non lo ha fatto con armi o dichiarazioni ridondanti ma con una vita posta al servizio della giustizia… In una commemorazione funebre di un suo collega parlando del lavoro del giudice diceva: ‘c’è chi vede nelle tavole processuali solo un informe cumulo di carte e chi vi scorge dei drammi umani, delle vite che soffrono ed è consapevole di quanto una decisione potrà lenire’. Livatino desidera essere strumento di giustizia per coloro che sono oppressi dalla criminalità organizzata. Nella sua vita – ha proseguito –  è stato fedele a Dio, alla sua gente, alla sua famiglia, alla terra che lo ha educato,  ai valori autentici della cultura cristiana, che lui ha incarnato. La sua fede – ha affermato –  è fedeltà alla Giustizia, via per trovare un rapporto con Dio.

È citando gli scritti del Giudice, ha proseguito, “un rapporto diretto, perché il rendere giustizia è realizzazione di sé, è preghiera, è dedizione di sé a Dio. Un rapporto indiretto per il tramite dell’amore verso la persona giudicata”. La fedeltà, ha ricordato ai presenti inizia con la coerenza nel poco; alle piccole cose, così come la corruzione. Rosario è fedele a Dio, alla sua gente, alla sua famiglia, la terra che lo ha educato ai valori autentici della cultura cristiana che lui ha incarnato anzi superato”. Riferendosi al Vangelo di Marco sulla donazione al tesoro da parte della povera vedova, mons. Marcianò ha poi aggiunto: “Il giudice Livatino non ha fatto scelte latrici di fama ma, come la vedova, non ha avuto paura di essere visto anche se sapeva che agli occhi sbagliati ciò poteva costituire un pericolo”. “Ci aiuti il suo motto, Sub tutela Dei, a sentirci sotto lo sguardo di Dio, come la vedova del Vangelo che fu sotto lo sguardo di Gesù, amorevole e giusto perché colmo di amore verso i più poveri, verso i quali Rosario Livatino ha sacrificato se stesso in un martirio che lo ha reso profeta di integrità”. La profezia di Rosario – ha continuato mons. Marcianò, ” è stata umile, schiva – ma consapevole del grande bene che c’era in gioco. L’umiltà autentica – ha ricordato – si fonda proprio su una tale radice nella certezza che ciò per cui siamo chiamati a vivere, lavorare, servire è sempre più grande,  vale bene l’offerta di se fino al sacrificio di se stessi sull’esempio di Cristo che, pur essendo Dio si è fatto uomo fino a morire per amore. Rosario questa umiltà – ha concluso – l’ha imitata fino alla morte”. Prima della benedizione finale la Presidente del PASFA ha ringraziato i presenti e l’Arcivescovo di Agrigento, Mons. Alessandro Damiano, per aver permesso la presenza della reliquia del Beato Livatino, il neo Sindaco Vincenzo Corbo, invece, al suo primo appuntamento istituzionale, ha voluto affidare il suo mandato – con il motto del Beato STB – Sub tutela Dei, recandosi successivamente, insieme all’Ordinario Militare alla tomba del Giudice per un momento di preghiera. Al momento erano presenti, tra le altre autorità, anche l’Assessore regionale Marco Zambuto in rappresentanza del Presidente della Regione siciliana ed  il Giudice del Tribunale di Agrigento,  Francesco Provenzano.

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