“Ci sono alcune poche decine di persone che intendono condizionare lo svolgimento della festa di San Calogero perché ritengono di dover avere mano completamente libera nella gestione, anche per fare con il santo inchini a banditi. Cosa che ovviamente nessuno nella comunità può tollerare e non verrà infatti tollerata”.
Sono parole del Questore di Agrigento,Emanuele Ricifari, così come riportate da Agrigentonotizie (vedi qui) in occasione della conferenza stampa del 31 agosto, presso la sala “San Michele” della Questura. “In passato – si legge sul sito di informazione – c’è stata la mancanza assoluta, da parte dei portatori, di rispetto delle indicazioni ricevute. E su questo ci sono immagini, relazioni, servizi giornalistici – ha spiegato l’autorità provinciale di pubblica sicurezza -. Le tradizioni si devono poter svolgere in maniera non selvaggia. Ritenere di non dovere avere divieti di sosta, poter mettere le auto come capita, portare i santi e farli dondolare davanti le case dei mafiosi, per poi sentirsi dire che ‘in quel palazzo c’è la signora malata’ e quindi l’inchino è stato fatto per l’anziana malata, ma in quello stabile ci abita il mafioso, è intollerabile”. “Vorrei che sindaci e cittadini capissero – ha sottolineato il questore Ricifari – . Perché lascia interdetti sentirsi dire: ‘Noi vogliamo fare così perché è la tradizione e perché si è sempre fatto così’. Non è grave ricevere richieste di spiegazioni da persone importanti, è anzi ordinario. Abbiamo sempre potuto dimostrare che ci siamo mossi in base a quello che richiedeva la norma e anche il buonsenso e i nostri interlocutori hanno sempre apprezzato il rigore e l’intelligenza applicativa che abbiamo adottato”.
Da queste colonne non possiamo che condividere le parole del Questore e stigmatizzare il comportamento di quanto successo a Porto Empedocle. Da un nostro punto divista è giusto ribadire che se è vero che gli usi, i costumi, le tradizioni e le devozioni di un popolo manifestano un patrimonio storico-culturale di rilevante valore, una memoria di cui conservare la ricchezza è anche vero che, come comunità, ecclesiale e civile, non possiamo non operare un discernimento e, dove occorre, “sanificare”, “tagliare” ma soprattutto “vivificare” usi e tradizioni, perché ne emergano sempre più gli aspetti migliori.
Scriveva Paolo VI, nella Evangelii nuntiandi (cfr. n.48) «Con essa (la pietà popolare) noi tocchiamo un aspetto dell’evangelizzazione che non ci può lasciare insensibili […]; ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione, anzi di superstizioni. Resta spesso a livello di manifestazioni cultuali senza impegnare un’autentica adesione di fede […], può mettere in pericolo la vera comunità ecclesiale. Ma se ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia dell’evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere […] La carità pastorale – proseguiva – deve suggerire, a tutti quelli che il Signore ha posto come capi di comunità ecclesiali, le norme di comportamento nei confronti di questa realtà, così ricca e insieme così vulnerabile».
Che dire rispetto a quanto accaduto?
La sfida, per tutti (clero, fedeli, devoti e cittadini), è, ancora una volta, educativa per accompagnare e favorire nuovi processi di cura delle persone, evangelizzazione e di educazione alla legalità.
Ritengo che le prescrizioni della Questura, in questo caso, come in altri, più che privarci di una festa di popolo e di tradizioni secolari – come qualcuno ha affermato – ci “provocano” a recuperare, anche attraverso le “distonie” rispetto a quanto stabilito, il senso autentico della nostra fede e delle manifestazioni che l’accompagnano nello spazio pubblico. Insomma, fede e devozione non possono essere un pretesto per disattendere indicazioni e prescrizioni di legge.
In questo contesto vale la pena riprendere quanto già la nostra Chiesa tramite il suo pastore (cfr. Lettera pastorale del 14/05/1989) di mons. Carmelo Ferraro, circa i segni qualificanti per le feste popolari). Vi si legge: “Il parroco nella qualità di responsabile della festa religiosa (anche nel caso che le spese siano a carico dell’amministrazione civile) propone alla Curia i nomi dei componenti il comitato «pro festa» e presiede detto comitato. Le persone segnalate devono essere di sicura fede e virtù cristiana e devono godere della stima dei fedeli. Si richiamano – prosegue la lettera – le leggi civili che regolano la materia…” Sul tema più volte si è espresso anche il Consiglio Pastorale diocesano. Ecco, per esempio, cosa si legge nel documento “Emergenza Mafia, un problema pastorale del 1992 (pag.17) elaborato dallo stesso: “… Nessun compromesso con persone di dubbia moralità, e ancor di più con elementi e gruppi mafiosi, e rifiuto di una loro collaborazione nelle attività ecclesiali, compresi i comitati delle feste religiose.” Del 2016, poi, è il Vademecum Liturgico-pastorale dove in Appendice, sono offerte delle indicazioni precise circa le feste religiose. (leggi qui)
A pag 41 si legge: “I membri del comitato siano persone che partecipino alla vita della comunità parrocchiale. Non possono farne parte persone che occupano ruoli di responsabilità in organismi istituzionali, che non frequentano abitualmente la parrocchia, che abbiano avuto condanne penali, che abbiano in corso un procedimento penale pendente… 157. I portatori di statue siano persone idonee e che vivono la vita parrocchiale o della confraternita, di cui eventualmente si fa parte. 158. Il parroco o il rettore dia un’adeguata preparazione ai portatori. Al termine della preparazione, il loro responsabile consegna all’autorità competente l’elenco di tutti i portatori per avere l’autorizzazione a recare le statue in processione.
159. Nello svolgimento delle processioni, i portatori s’impegnino a tenere un comportamento consono, evitando chiacchiere, fumo, bevande alcoliche, uso di telefonini, pose per foto e quant’altro possa disturbare il raccoglimento e la preghiera.
160. Si evitino danze e giravolte con le statue, durante e a conclusione delle pro- cessioni. Si eviterà, altresì, di trasportare le statue per strade o vicoli del paese non previsti nell’itinerario del programma approvato.”
La sfida che ci sta dinnanzi è certamente quella della denuncia e del rifiuto di ogni sottomissione ma ancor di più quella della formazione delle coscienze e del cambiamento di mentalità, ad intra e ad extra, della Chiesa, rifiutando ogni sudditanza e avendo il coraggio di estirpare il male, ovunque esso alberghi. Il cambio di rotta passa non attraverso imprese straordinarie e i documenti scritti, sono insufficienti se non si passa dalla riflessione dei “piani alti” a percorrere le stradine dell’impegno quotidiano e ordinario per la legalità e la testimonianza del vangelo.