Come già constatato ampiamente da tutti noi in questi mesi di emergenza sanitaria -chi più chi meno in base anche alla zona di residenza – il Coronavirus ha letteralmente spazzato via le nostre certezze e rimodellato le nostre vite, nel rispetto di norme quanto meno improbabili ed impensabili fino al gennaio scorso.
Ciò che sicuramente sta determinando un cambiamento radicale nelle nostre abitudini quotidiane a livello comunicativo è senza dubbio l’utilizzo della mascherina e il cosiddetto “distanziamento sociale”(mantenere una distanza di almeno un metro dall’altro, definita dagli addetti ai lavori “Droplet”).
L’uso della mascherina ai fini precauzionali onde evitare o quanto meno limitare la diffusione del contagio, sta senz’altro modificando – resettando i codici in uso da sempre, rimodellandoli a nuovi canoni interpretativi – la nostra comunicazione non verbale facciale. La mascherina oscura in parte il volto; lascia scoperti solo gli occhi celando le labbra e buona parte del viso, e questo limita o quanto meno rende difficoltoso aggiungere al verbale quella parte “ridondante” che ne completava e rafforzava il messaggio.
Pensiamo ai medici ed agli infermieri nelle corsie degli ospedali, ai pazienti costretti ad indossare una maschera per respirare. Se avete visto le immagini negli innumerevoli Tg e Speciali, avrete notato che spesso rafforzano le loro parole, con il linguaggio scritto su tablet, su carta, sulle stesse bardature utilizzate come barriera.
Comunicare senza una parte del volto, non poter affidare alle espressioni facciali, alla mimica -e in questo noi italiani in quanto popolo latino siamo abilissimi- la parte rafforzativa e sovrabbondante a quella discorsiva, è un po’ essere di colpo diventati “muti” o quanto meno afoni. I sorrisi, le labbra e le loro svariate impercettibili distorsioni legate alle nostre parole o a quelle del nostro interlocutore, di colpo sono state oscurate, censurate determinando una modificazione nel codice e nello stile; generando una limatura indirizzata all’essenzialità ed alla semplificazione del messaggio da trasmettere.
Se a ciò aggiungiamo anche la nuova norma di distanziamento sociale, è intuibile quanto e con quale portata si stia attuando una piccola grande rivoluzione a livello comunicativo ed in particolare, alla comunicazione de visu. Per noi addetti ai lavori questa ultima variabile introdotta, altera il nostro concetto di “prossemica”. Con questo termine, in genere, si definisce lo studio dell’uso che gli uomini fanno dello spazio sociale e personale ai fini comunicativi. La prossemica rientra nel linguaggio non verbale e varia da popolo a popolo. Ogni Nazione, ogni Paese ha una bolla sociale differente, retaggio delle tradizioni, degli usi e dei costumi culturali che la caratterizza e, dunque, la contraddistingue in maniera peculiare dalle altre società.
Noi Italiani abbiamo, come tutti i popoli latini, una “bolla” spaziale, che rappresenta la nostra sfera intima e il modo in cui ci appropriamo dello spazio per comunicare, relativamente esigua.
Noi comunichiamo occupando lo spazio; comunichiamo con le posture del corpo e le svariate sfaccettature modali che esso attua per impossessarsi di questo spazio circostante per plasmarlo alle sue finalità comunicative. Limitare la nostra bolla personale attuando il distanziamento sociale, sta facendo sì che, il nostro interloquire faccia a faccia con un ascoltatore, subisca delle profonde modifiche nelle modalità dell’espressione e nella formulazione del messaggio. Pensiamo a quanto conti una stretta di mano o una pacca sulle spalle per ribadire i concetti verbali da noi espressi nei più svariati contesti fisici ed argomentativi.
Stiamo assistendo ad una vera e propria rivoluzione, che non solo sta mutando le nostre vite nel gestire la quotidianità, ma sta apportando radicali modifiche negli approcci e negli stili comunicativi. Nuove sfide e nuove opportunità si pongono davanti a noi. Sfide impensabili possono essere oggi affrontate ed “addomesticate” – basti pensare alle nuove modalità didattiche, che il Coronavirus ha fatto sì che si dispiegassero in campo educativo e scolastico. Ciò che serve è mantenere una mente, un modo di pensare, plasmabile, duttile, aperto a questo nuovo mondo in continuo divenire. Nessuno di noi ha certezze. Il Covid non è certo tempo di sicurezza e di stabilità, ma può essere stimolo e sfida, questo sì. Siamo noi che, più o meno inconsapevolmente, stiamo scrivendo e facendo la storia. Noi tutti insieme potremo e possiamo farcela trovando nuove strade, nuovi stili, riorganizzando e riformulando il passato coniugandolo all’attuale presente. Siamo in un tempo di “sperimentazione” in cui tutti siamo parte attiva del progetto.
Anna Chiara Della Monica