Nel giorno in cui il mare è teatro dell’ennesima tragedia a largo di Turchia e Tunisia, il nuovo capo del Viminale, il leader leghista Matteo Salvini, prima a Catania e poi a Pozzallo, porto di sbarchi e centro di accoglienza e solidarietà, parla come se fosse ancora in campagna elettorale: “Non assisterò senza far nulla a sbarchi su sbarchi su sbarchi servono centri per espellere”. Ed ancora “Obiettivo è salvare le vite. E questo lo si fa impedendo le partenze dei barconi della morte che sono un affare per qualcuno e una disgrazia per il resto del mondo. Stiamo lavorando senza bacchette magiche per ottenere meno sbarchi, più espulsioni, più sicurezza e per bloccare e tagliare un enorme giro d’affari. Pregare e commuoversi non basta, lavoro perché tutti gli organismi internazionali si impegnino per fermare partenze, sbarchi e morti”.
In concomitanza con la visita in Sicilia del neo Ministro dell’Interno Matteo Salvini, chiediamo a Mariella Guidotti, responsabile del Servizio Migrantes Diocesano, di commentare il significato di questo viaggio e le dichiarazioni relative alla politica dell’immigrazione che il nuovo governo intende adottare.
La prima visita di Matteo Salvini da Ministro dell’Interno è dedicata alla Sicilia, definita “campo profughi d’Europa”. Che significato può avere?
Il primo viaggio di Salvini da Ministro è in Sicilia, il tema è l’immigrazione, cavallo di battaglia della Lega fin dagli esordi, al punto che, per esistere, la Lega ha bisogno degli immigrati! Torna alla mente per contrasto il primo viaggio di papa Francesco a Lampedusa, pellegrinaggio di commossa condivisione con le vittime dei viaggi della speranza nel Mediterraneo. Anche in questi giorni si sono verificate tragedie nell’Egeo con tanti morti, tra cui diversi bambini, ma le parole e il clima creato da Salvini è totalmente diverso rispetto alla visita di Papa Francesco.
Che cosa preoccupa di più nelle parole di Salvini?
Diversi punti: in primo luogo le dichiarazioni ad effetto, l’ostentazione di sicurezza di fronte ad un fenomeno così complesso come quello delle migrazioni. I dati Istat ad esempio dicono che nel 2017 le immigrazioni sono state 337 mila, con un aumento del 12% rispetto al 2016: non si parla qui degli sbarchi ma di immigrazioni per lavoro. Sono dati pubblici, sarebbe grave se il Ministro dell’Interno non ne fosse a conoscenza. La realtà è che l’Italia registra un calo demografico costante (si prevede un milione di abitanti in meno entro il 2045) ed ha bisogno degli stranieri in molti settori. Far convergere solo sugli sbarchi l’attenzione pubblica, ignorando il resto, significa quanto meno farne una lettura parziale, forse un tema da campagna elettorale, mentre sarebbero necessari ben altri approcci, sia dal punto di vista politico che etico. Suonano ciniche le parole di Salvini che evoca respingimenti e serrate “per salvare vite in mare”, come se non sapessimo cosa avviene in Libia, in Niger e in altri territori di transito!
Dovremmo allora accogliere tutti quelli che arrivano?
Non proprio. È ovvio che una situazione così drammatica richieda risposte politiche adeguate, che i flussi vadano regolamentati perché le tragedie del mare finiscano e a chi arriva sia assicurata una accoglienza degna. Ma le politiche nazionali ed europee – troppo spesso strumentali – si rivelano incapaci di dirimere il problema. E poi, da un punto di vista etico, non si possono dividere gli immigrati (cioè persone!) sulla base di categorie puramente funzionali: benvenuto chi ci è utile, via chi ha bisogno di aiuto per inserirsi o perché è fragile. È fin troppo nota l’affermazione di Max Frisch “Abbiamo chiesto braccia, sono arrivati uomini!”. Meno nota è la circostanza in cui fu scritta: si trova nella prefazione del libro “Wir Italiener. Siamo italiani”, uscito a metà degli anni Sessanta, nel contesto della campagna Schwarzenbach che voleva l’espulsione degli stranieri dalla Svizzera. Noi, che siamo un popolo di emigranti, dovremmo ritrovare questa memoria storica che è parte della nostra identità.
Che cosa l’ha colpita di più delle affermazioni di Salvini?
Ho notato la parola “espulsioni”, ripetuta più volte, quasi uno slogan. Questa parola mi ha fatto ricordare il titolo di un libro pubblicato due anni fa: “Espulsioni. Brutalità e complessità dell’economia globale”. In questo libro, la sociologa americana Saskia Sassen dimostra – dati alla mano – come l’economia globalizzata stia concentrando le ricchezze mondiali nelle mani di pochi a discapito di una maggioranza sempre più povera. Ce lo ha ricordato di recente anche il nostro Vescovo, in vari passaggi dei suoi discorsi; ce lo sta spiegando il documento “Oeconomicae et pecuniariae quaestiones. Considerazioni per un discernimento etico circa alcuni aspetti dell’attuale sistema economico-finanziario” redatto dalla Congregazione per la Dottrina della Fede e del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che parla di “finanza predatoria”: “Questo capitalismo finanziarizzato funziona sempre più su base estrattiva: estrae valore da persone, cose, ambienti. E abbandona i resti alla deriva”.
La forbice tra ricchi e poveri continua ad allargarsi: la linea di divisione tra ricchezza e povertà non passa più tra Nord e Sud del mondo ma attraversa trasversalmente tutte le società, anche quelle del mondo ricco, dove pure sono in aumento povertà, marginalità, “vite di scarto”. Il rischio è la “guerra tra poveri”, una lotta per la sopravvivenza a carattere primordiale. È importante che vengano smascherati questi macro sistemi, altrimenti si rischia di trarre conclusioni sbagliate, magari incolpando gli immigrati di rubare “posti di lavoro” agli italiani, costretti a loro volta ad emigrare. Non è così: immigrazione ed emigrazione hanno cause comuni.
Gli immigrati che arrivano con le barche sarebbero allora degli “espulsi”?
Sì. Li chiamiamo “immigrati economici”, per distinguerli dai rifugiati, e di conseguenza non meritevoli di accoglienza. In realtà, anche loro fuggono per sopravvivere. Saskia Sassen infatti dimostra come il sistema neoliberista mondiale crei nuove logiche di inclusione/esclusione, spingendo le fasce più deboli verso i margini sociali, rendendole invisibili ed espellendole silenziosamente dal nuovo sistema. Le “espulsioni” – afferma Sassen – sono volute, perché funzionali ad un certo tipo di sistema economico. Gli immigrati che Salvini vuole espellere vengono così ridotti a oggetti: espulsi dalle loro terra e dai paesi di arrivo. Questo non è accettabile: non solo per noi che ci diciamo cristiani, ma anche sul piano puramente umano, perché disprezzare l’umanità ferita significa ferire la nostra stessa umanità. E poi la storia insegna che violenze e soprusi sono un boomerang: prima o poi gli effetti ricadono su chi li ha perpetrati, come dimostrano gli arrivi dall’Africa, risultato di colonialismi e sfruttamenti antichi e nuovi!