Nel maggio del 2015, nella sagrestia della Cattedrale di Agrigento, l’ufficio Beni Culturali Ecclesiastici e il Museo Diocesano hanno proposto un itinerario attorno alle testimonianze devozionali della Sindone nell’Arcidiocesi di Agrigento. In quella occasione furono esposti il pendente reliquiario di Aragona ed il “Telo” raffigurante il corpo di Cristo portato ad Agrigento e donato alla cattedrale dal vescovo Francesco Maria Rhini dell’Ordine dei Frati Minori. La mostra venne curata da Domenica Brancato, consulente storico dell’arte e in quella occasione, sul numero 13 del nostro settimana del 15.05.2015, dedicammo una pagina alle testimonianze devozionali della Sindone nel territorio agrigentino con testo di Domenica Brancato. In occasione della prossima ostensione (19 aprile) della copia della Sindone della cattedrale, abbiamo tirato fuori dal nostro archivio cartaceo quella pagina con dovizie di particolari, approfondimenti storici e fotografici. Di seguito la riproponiamo ai nostri lettori, unitamente ad un video (VEDI) , a riprova ; dell’importanza di conservare la memoria stampata, nell’era digitale, di fatti ed eventi della nostra storia e vita ecclesiale.
“La Sindone, ovvero, il sudario menzionato dai Vangeli sinottici, in cui fu avvolto il corpo di Cristo al momento della sepoltura, evoca il corpo e il volto di Cristo non attraverso un’immagine chiaramente delineata e distinguibile, bensì per mezzo di un’impronta quasi impercettibile all’occhio, che grazie al negativo realizzato dal fotografo Secondo Pia nel 1898 si è trasformata in un’icona universale. Sin dall’epoca della sua comparsa, nel basso Medioevo, l’immagine del Sacro Lino ha attratto i fedeli per l’evidente richiamo alla figura del Crocifisso, attenzione espressa ed incentivata dalla chiesa post-conciliare, attraverso il culto delle reliquie o le sue raffigurazioni che, a contatto con l’originale ne divenivano un venerabile “brandeum”.
Nel territorio agrigentino sarà il Vescovo di Agrigento Francesco Maria Rhini (1676-1696) ad autorizzare, con Bolla del 6 giugno 1686, il Principe di Aragona Baldassare Naselli IV ad esporre al pubblico culto le reliquie della Sacra Sindone “…bina fristula Sancte Sindonis…” e di portarle in processione il 3 Maggio di ogni anno, in occasione della festa della Santa Croce. Si tratta di due pezzettini del Sacro Lino riconosciuti e approvati dalle Autorità Ecclesiastiche, che, esposti nella cappella privata dei Principi Naselli, successivamente furono donati dai medesimi alla custodia della Chiesa Madre di Aragona. Le reliquie sono racchiuse in un finissimo pendente-reliquiario, opera di maestro siciliano dell’inizio del XVII secolo, composto da una teca in cristallo di rocca, circondato da un fregio con smalti ad alveoli policromi, sostenuto da tre catenelle. Sulla base cinque anelli dovevano accogliere un tempo cinque perline barocche. La fantasia di chi ha assemblato i materiali, li ha poi arricchiti di dettagli particolari, anche in funzione della reliquia che avrebbero dovuto contenere (vedi foto a sinistra ).
Tra le testimonianze devozionali nei confronti della Sindone risultano particolarmente interessanti dal punto di vista storico le riproduzioni del Lenzuolo in grandezza naturale, sicuramente di fruizione elitaria, ma non per questo rare. Si stima che nel tempo ne siano state prodotte circa 150, due terzi dei quali ancora oggi esistenti. La realizzazione della copia integrale del sacro Lino era strettamente connessa alla percezione della fisicità della figura impressa sul Lenzuolo, rendendo la dimensione effettiva dell’immagine sinodica. A rinforzo del ruolo e significato proposto, spesso tali copie venivano poste a contatto con l’originale o con i luoghi santi, trasformando l’oggetto in un venerabile “brandeum”. In linea con il movimento francescano dell’Osservanza, volto alla ricerca di una spiritualità più radicale, è il pregevole Telo raffigurante il corpo di Cristo che il Rhini porterà ad Agrigento dopo il suo viaggio in Terminata. Il Telo riporta un’iscrizione che ne ricostruisce il suo pregio “la bellezza di questa rappresentazione risiede nell’essere rimasta a giacere per sei anni presso il Santo Sepolcro e dunque due volte più venerabile della Vera Sindone”. Il valore semantico del manufatto non risiede tanto nella traditio delle “copie della Sindone” ma nel contatto con il Santo Sepolcro, che a rinforzo del ruolo e significato proposto, avrebbe trasformato l’oggetto in un venerabile “brandeum” (foto sotto).
Palma di Montechiaro annovera una pregevole riproduzione del Sacro Lino, molto fedele all’originale di Torino, donata dall’Infante Maria di Savoia al teatino don Carlo Tomasi con la presente iscrizione “copia estratta dal vero originale di Torino l’anno 1656”.

La copia (foto a destra), oggi custodita presso il Collegio di Maria, era originariamente esposta presso la chiesa del Calvario dello stesso centro. Il suo arrivo nella “Terra del Gattopardo” si lega ad un lodevole progetto definito la “Strada della Croce” ideato dal Santo Duca Giulio Tomasi e concretizzato dall’astronomo Giovanni Battista Hodierna, primo arciprete di Palma. Il paese stesso era stato fondato nel giorno dell’Invenzione della Croce, il 3 maggio 1637. Il Duca fece realizzare su di una collinetta il “Calvario” che culminava con la chiesetta medievale della Madonna della Luce. Il percorso era suddiviso in 18 stazioni, in ognuna era un affresco relativo ad ogni mistero. I fedeli salivano al “Calvario” non solo per lucrare le indulgenze della Terra Santa, elargite dal pontefice Alessandro VII, ma anche per baciare la copia della Sacra Sindone, donata dall’Infante Maria di Savoia al teatino don Carlo Tomasi, esposta presso la Chiesa della Madonna della Luce. In alcuni mesi di Quaresima, nel viaggio penitenziale arrivavano circa sette mila fedeli, in processione dalla Chiesa Madre sino al Calvario.
video di C.P.