L’agrigentino tra i suoi tanti difetti ha senz’altro quello di avere la memoria corta. Ogni fatto che si reitera nel tempo, ciclicamente, per l’agrigentino medio è come se si verificasse per la prima volta. Un comportamento dovuto all’ignoranza; l’informazione, per la maggior parte della popolazione ormai arriva solo attraverso i social, frequentemente immersi nelle fake news, alla strafottenza ed all’atavica mancanza di amore per la città ed il suo territorio.
L’emergenza idrica che in questi mesi stiamo vivendo, per alcuni è come se fosse la prima volta che si verifica nella città più assetata d’Italia. Il nostro giornale, memoria vigile del territorio agrigentino, dalla città capoluogo alla provincia, negli anni ha sempre raccontato, scevro da ogni condizionamento politico e clientelare, il modus operandi di una classe politica votata, per la maggior parte, al proprio tornaconto e non al bene ed all’interesse della comunità.
La vita civile degli agrigentini ha sempre dovuto fare i conti con il problema endemico della carenza idrica.
«Già nel 1958 – come testimonia il settimanale – mons. Francesco Fasola ottenne dall’on. Pastore, ministro della Cassa per il Mezzogiorno, che venisse stanziato un miliardo (di quei tempi!) per risolvere una volta per tutte il problema dell’approvvigionamento idrico per città e provincia. Vari politici e capoccia dei diversi Enti erogatori ebbero l’abilità, non riuscendo a mettersi d’accordo, di far stornare altrove l’intera somma”. Alfonso Di Giovanna lanciava l’allarme nell’articolo: “Gravissima la situazione idrica” (29/1958).
La carenza idrica diviene molto grave, anzi davvero drammatica negli anni ottanta con lo sviluppo edilizio della città e con le aumentate esigenze della popolazione. “Dov’è l’acqua?” (25/1983) si chiedeva Vittorio Alfieri. «Il prezioso liquido giunge nelle abitazioni degli esasperati agrigentini ogni dieci giorni. Le abitazioni sono letteralmente trasformate in deposito di scorte di acqua; vengono riempite anche le vasche da bagno, che sono utilizzate per le pulizie personali solo nel giorno in cui l’acqua arriva!!!”. Nei mesi estivi il problema si acutizza. E la rabbia degli agrigentini è raccolta con un titolo a colore rosso a sei colonne “ACQUA!” (24/1984). «Purtroppo Agrigento si è guadagnato il triste primato di città più assetata d’Italia, scrive Alfieri. La mancanza di acqua ad Agrigento oltre che un problema di natura tecnica è, per lo più, un problema di natura politica». «Pindaro, scriveva nell’editoriale mons. Domenico De Gregorio, cantò Agrigento la citta più bella dei mortali… Il poeta cantava la città che un amore sapiente aveva arricchito di tutte le comodità soprattutto dell’acqua che veniva raccolta con una ingegnosa rete di ipogei e convogliata verso le case veniva incanalata nelle condutture e da lì giungeva ai bagni pubblici e alle piscine. Perché oggi manca l’acqua? Ministri, deputati, prefetti, sindaci, assessori, consiglieri comunali e provinciali che cosa fate se non riuscite a soddisfare questa nostra prima necessità. C’è conflitto di competenze tra regione e provincia? Sono le cosche mafiose che vi ostacolano? Combattetele! Sono le vostre beghe personali ad impedirvi di risolvere l’annoso problema? Buttatele a mare una buona volta!».
Il settimanale mobilita la città, si scende in Via Atenea con i bidoni vuoti per la prima marcia per l’acqua. “Una città in ginocchio” (36/1986). «Vivere ad Agrigento diventa sempre più difficile, scriveva Elia Marino. La soluzione del problema non avverrà fino a quando interessi particolari, spirito di mafiosità, risse politiche non verranno eliminate… C’è chi approfitta di questa situazione per specularvi… È il caso di dire Se bevi …non mangiano».
Sulla gravissima crisi dell’approvvigionamento idrico anche il vescovo, mons. Luigi Bommarito interviene dichiarando: «La Chiesa agrigentina si sta adoperando, anche attraverso il nostro settimanale, per liberare la citta e molti paesi dell’agrigentino da questa piaga antica e misteriosa, per vincere il gioco di palleggiamenti incredibilmente complesso. Auspico la nomina di un Commissario per affrontare e risolvere in maniero definitiva tale mortificante situazione (37/1986)».
Raccogliendo gli appelli del nostro settimanale, che va pubblicando le lettere di vibrante protesta dei cittadini inviperiti, si costituiscono i primi Comitati di quartiere per l’acqua (3/1987) che si moltiplicano velocemente: a quello di Via Dante seguono quelli di Via Manzoni, Via Callicratide, Via Esseneto, Via Papa Luciani, Colleverde. Intanto viene nominato Commissario ad acta per l’acqua il dott. Nicolò Scialabba. Turnazioni regolari, ricerche di prese abusive, controllo della dotazione idrica delle fonti ridussero subito i giorni di turnazione: si arrivò ad avere turni di erogazione ogni quattro giorni. Allontanato il dott. Scialabba (o esaurito il suo mandato?) la situazione tornò come prima, anzi peggio di prima con turni da record: acqua ogni quindici giorni. “È una vergogna nazionale” titola a sei colonne il giornale, che commentava: «Sulla grande sete agrigentina non sappiamo più cosa scrivere senza ripeterci. Sono stati sperperati cinquanta miliardi per il dissalatore di Gela, che è servito a poco se non a nulla. Dal fronte idrico è sempre un bollettino di guerra: oggi salta un tubo, domani un gomito, poi vi è stato un’interruzione dell’energia elettrica. Nella condotta idrica che porta l’acqua del dissalatore di Gela ad Agrigento vi è sempre una rottura di carattere doloso. Ad “Uno Mattina”, mons. Bommarito denunzia l’esasperazione della città, torna a chiedere “Un Commissario per l’acqua” (31/1987)».
Si fa il nome del dott. Scialabba. Ma il Commissario non arriva. Il Vescovo telegrafa al Presidente della Regione, on. le Nicolosi: «Rappresentanti comitati di quartiere città Agrigento, riuniti Vescovado chiedono Vostra Eccellenza mantenere impegno invio Commissario per avvio a soluzione problema idrico sempre critico (34/1987)». Finalmente gli agrigentini ottengono che il dott. Scialabba sia nominato Ispettore per il problema idrico per Agrigento e provincia (37/1987).
E “Con Scialabba arriva l’acqua” (38/1987). «Computerizzazione della distribuzione idrica, istallazione dei contatori, autorizzazione a costruire vasche ai piedi dei palazzi, controllo costante della rete idrica, abolizione delle prese abusive con denunzie e multe salate per i furbi… Dopo mesi di solerte ed intelligente lavoro gli agrigentini increduli assistono al miracolo di avere l’erogazione idrica ogni due giorni! (35/1988)». Espletato il suo mandato e andato via il dott. Scialabba la situazione torna come prima.
Non resta che rivolgersi al Presidente della Repubblica: “Signor Presidente ACQUA!” (36/1989). «Il prefetto Vincenzo Tarsia ha dichiarato che per il problema idrico ad Agrigento siamo tornati all’anno zero! Un giro di affari politico-mafiosi, denunzia il giornale, impedisce agli agrigentini di usufruire di un bene essenziale per la vita civile di ogni giorno». Sarcasticamente nell’editoriale il direttore scrive: «Hanno trovato l’acqua, ad Agrigento. E dove l’hanno trovata? Non solo alle fonti della Levissima e di S. Benedetto, l’hanno trovata e distribuita in parte in tante ville privilegiate, in tanti villini e ne hanno riempito perfino le piscine. Mentre nelle nostre case arrivano gorgoglii gassosi provenienti dai rubinetti sempre aperti, come voci osannanti alla solerzia dei politici, degli amministratori, delle autorità tutte della città, della provincia e della regione. Signori tutti impegnatissimi a risolvere il problema dell’acqua. Ora che l’acqua è stata trovata, come sopra, cosa devono fare questi signori? Affogarvi!» (36/1989).
«Continua la battaglia per la soluzione nel problema idrico. Mons. Carmelo Ferraro successore di mons. Bommarito nella cattedra di S. Gerlando, con un pubblico manifesto, che il giornale pubblica in prima pagina, chiede senso di responsabilità e dirittura morale ai politici di tutti i partiti perché sia superata ogni divisione davanti a un bene comune di prima necessità che è l’acqua, dirittura morale ai tecnici perché la distribuzione idrica sia uguale per tutti, impegno morale e sociale perché sia sconfessata la categoria dei furbi che, in tanta emergenza, segue la logica disonesta del profitto personale a grave danno della collettività». Di fronte al perdurare dell’emergenza il comitato idrico cittadino occupa la Sala Consiliare di Palazzo San Domenico. Nonostante le proteste, le promesse restano tali e l’acqua continua a non arrivare nei rubinetti sempre più asciutti degli agrigentini. In un “Controluce” Giuseppe Ferranti scrive ironicamente: «La rabbia degli agrigentini più che dalla mancanza di acqua scaturisce dal fatto che la loro titanica resistenza alla mancanza di acqua non venga riconosciuta… Un record sconosciuto! Ricevono acqua nelle loro case ogni 15 o 20 giorni e restano calmi ed impassibili. Mentre a Genova i cittadini ottennero che venisse dichiarato lo stato di calamità naturale perché l’acqua veniva erogata ogni due giorni (33/1990)».
E il settimanale chiede le dimissioni della classe politica. «La situazione drammatica e vergognosa dell’approvvigionamento idrico che ha lasciato i cittadini senza acqua per 20 giorni, dovrebbe fare arrossire gli uomini del Palazzo e farli decidere, una buona volta, per incapacità manifesta a Dimettersi! (37/1990)».
La crisi idrica agrigentina dopo tante lotte si trascina ancora tra alti e bassi. Il settimanale registra puntualmente le varie iniziative le marce di protesta, ma anche la mancanza di sensibilità di tanti cittadini. «Gli Agrigentini hanno imparato – scrive Carmelo Petrone – ad arrangiarsi con serbatoi sui tetti e sui balconi di ogni forma e dimensione… Come un tempo riempiono anche le vasche da bagno… Rassegnati e fatalisti, pensano che protestare non giova nulla e alla marcia provinciale per l’acqua sono venuti in tanti dai paesi, mancavano gli agrigentini, una Assenza vergognosa (19/2002)».
Da quegli anni in poi abbiamo raccontato come si siano spartiti, con logiche personalistiche a dispregio della normativa vigente, le fonti presenti sul territorio regionale e provinciale. Come nel totale silenzio della politica, anzi con il benestare della politica, si sia permesso che otto comuni possano gestire direttamente il servizio idrico integrato nella provincia di Agrigento. Comuni che ancora oggi risultano sprovvisti di alcuni dei requisiti di legge, ma che hanno le fonti, che nel totale silenzio di Ati non vengono messe in comune, soprattutto in un momento di grave crisi emergenziale. In questi anni, il nostro settimanale, non ha mai taciuto, non si è mai girato dall’altra parte, ha sempre avuto il coraggio di denunciare un sistema privo di logica che arriva anche ad autorizzare “la circolazione, nel territorio comunale, anche delle autobotti non autorizzate al trasporto conto terzi, per il trasporto e distribuzione di acqua potabile prelevata presso i punti di approvvigionamento di AICA ubicati nel territorio comunale di Agrigento” (ordinanza sindacale del sindaco di Agrigento Franco Micciché n.57/2024). Ci auguriamo che finalmente l’emergenza idrica nella nostra terra diventi solo un ricordo e non una certezza.