La camicia del giudice Rosario Angelo Livatino, indossata il giorno dell’assassinio, adesso conservata e venerata come insigne reliquia, probabilmente, indosso al magistrato, altre volte, sarà entrata nella chiesa San Giuseppe di Agrigento, dove il giudice sostava in preghiera, ogni mattina, prima di iniziare il lavoro nel suo ufficio al Tribunale di Agrigento in piazza Gallo. Mi piace pensare che, probabilmente, quel lontano 21 settembre del 1990, quella camicia indossata da Giudice, avrebbe valicato il portone d’ingresso del santuario San Giuseppe, se i killer non avessero spezzato la vita di Rosario Livatino uccidendolo barbaramente in contrada Gasena prima di arrivare in Tribunale. Ebbene quella camicia intrisa di sangue, ieri sera, 24 settembre, è stata accolta dalla comunità ecclesiale, guidata da don Enzo Sazio, nella chiesa San Giuseppe, nell’ambito della peregrinatio diocesana che la reliquia ha iniziato domenica 19 da Canicattì, città natale del giudice. (vedi)
In tale contesto e nell’anniversario dell’uccisione del giudice Antonino Saetta, anche Lui di Canicattì, Presidente della prima sezione della Corte d’Assise d’Appello di Palermo, assassinato da cosa nostra il 25 settembre del 1988, sulla SS640, Agrigento-Caltanissetta insieme al figlio Stefano, l’arcivescovo di Agrigento mons. Alessandro Damiano ha presieduto una Santa Messa in loro memoria e in memoria di tutte le vittime innocenti di mafia, concelebrata da una rappresentanza di parroci della città di Agrigento e Canicattì. Alla celebrazione erano presenti il Sindaco Miccichè con la Giunta, i massimi rappresentanti delle istituzioni civili militari e della Magistratura del territorio, i familiari del Giudice Livatino, Salvatore Insenga (che il giorno della beatificazione portò la reliquia del Giudice all’Altare) e Vincenzo Livatino, visibilmente commossi nel vedere il reliquiario sostare nella Chiesa San Giuseppe, unitamente ai magistrati ex colleghi del Giudice Beato.
L’Omelia di mons. Alessandro Damiano
Durante la celebrazione Eucaristica mons. Damiano ha tratteggiato la figura del giudice Livatino soffermandosi sulla prima lettura della liturgia della Parola tratta dal libro del profeta Zaccarìa (Zc 2,5-9.14) e su un Documento del Consiglio Permanente della CEI.
«Alzai gli occhi, ed ecco un uomo con una fune in mano per misurare. Gli domandai: «Dove vai?». Ed egli: «Vado a misurare Gerusalemme per vedere qual è la sua larghezza e qual è la sua lunghezza». In questo versetto della prima lettura, con il quale, l’Arcivescovo, ha iniziato il suo intervento omiletico ha voluto vedere la nostra città, Agrigento. Sono gli uomini e le donne che la abitano a renderla città, e tra questi coloro che a diverso titolo siamo impegnati nella “res pubblica”. Ha poi voluto citare, in maniera confidenziale, quanto le ha scritto, in una lettera, vergata a mano, una coppia di amici dopo una visita ad Agrigento durante il periodo estivo. Descrivendo il viaggio nel territorio agrigentino scrivono (la moglie): ”Alessandro, se dovessi descrivere Agrigento, la descriverei così: «una bella donna che ha preso troppe botte, da non riuscire più a ricordare i lineamenti del suo viso senza i lividi”. L’Arcivescovo ha confessato che questa descrizione, stringata, di Agrigento l’ha colpito e si chiesto, alla luce della parola di Zaccaria se c’è davvero bisogno di misurare la lunghezza e la larghezza di Agrigento, ma – ha aggiunto – non con il sistema metrico decimale. E qui si innesta la lunga citazione del documento della CEI, “La Chiesa italiana e le prospettive del Paese” (cfr. nn.33-34) che, seppur datato 23 ottobre 1981, conserva un’attualità indiscussa e preveggente.
“C’è – si legge nel testo – innanzitutto da assicurare presenza. L’assenteismo, il rifugio nel privato, la delega in bianco non sono leciti a nessuno, ma per i cristiani sono peccato di omissione. Si parte dalle realtà locali, dal territorio. E si è partecipi delle sorti della vita e dei problemi del comune… del quartiere: la scuola, i servizi sanitari, l’assistenza, l’amministrazione civica, la cultura locale”, l’acqua…” Ma ancora: “C’è da trarre tutti gli stimoli alle proprie responsabilità che vengono dalla distinzione tra la Chiesa come comunità e i cristiani come cittadini, per quanto riguarda la presenza nelle realtà sociali. Senza mai confondersi con la realtà politica, la Chiesa e le sue comunità locali hanno il dovere primario di richiamare il compito dei cristiani di mettersi a servizio, sul modello del loro Signore, per l’edificazione di un ordine sociale e civile rispettoso e promotore dell’uomo; di proporre l’autentica concezione dell’uomo, dei suoi veri bisogni, del valore delle relazioni familiari e sociali, quali risultano dal messaggio evangelico; di offrire con la preghiera, i sacramenti, lo scambio e il sostegno fraterni, la possibilità di liberare la propria coscienza da ogni ambiguità e dalla tentazione dell’uso strumentale del potere, purificando e rafforzando l’impegno di servire con umile tenacia, al di là di ogni orgoglio e di ogni egoismo. E’ questa – ha proseguito – , oggi soprattutto, l’urgenza da additare agli uomini responsabili della vita politica, amministrativa, sindacale, perché ridiventino credibili…”(cfr. n.33 – 34)
Ho rintracciato – ha detto don Alessandro – in queste parole i tratti della figura, dell’impegno professionale e della testimonianza di Rosario Livatino, come quelli dei tanti magistrati, uomini e donne delle forze dell’ordine.
Chiediamoci – ha detto ai presenti – ciascuno di noi, come può misurare la lunghezza e la larghezza della propria vita?
“L’augurio – ha concluso mons. Damiano – che faccio a ciascuno, secondo le proprie competenze e responsabilità, lo ricavo – ha detto – dalla preghiera di colletta della celebrazione eucaristica che ci ha fatto pregare così: “Per la testimonianza di fede del beato Rosario Angelo Livatino concedi anche a noi e sul suo esempio di porre sotto la Tua tutela (STD) le nostre azioni”.
Al termine della celebrazione, prima della benedizione finale, ha voluto leggere una poesia che ha a che fare con la reliquia, scritta da don Giovanni Mangiapane, parroco della matrice di Sant’Angelo Muxaro.
C’è na cammisa nova culurata
è tutta di sanguzzu tacchiata
la vistia dda matina cunfusu
Livatinu, lu Judici carusu.
Na storia di onesta civiltà
ca’ nun s’inchina a vili nfamita’
lu difficili compitu facia
fidannusi di Diu e di Maria.
Nun putia fari lu senaturi
accupava granni postu d’anuri
cu tanta vera risponsabilita’
facia la Giustizia cu Virità.
Lu jatu di la mafia sintia
a lu so coddu mentri ca’ scrivia
senza scorta e mancu nu blindatu
Canicattì – Agrigentu: sudatu.
Lu pigliaru comu lebbru a caccia
na machina, un moturi e armi mbrazza
lu fineru mezzu a lu tirrenu
mittennu a la Giustizia, frenu.
La Virità si piglia’ la rivalsa
cu la Fidi, la Giustizia e la Kalsa
pena pi mandanti e accattati
mentri Iddu scala Santitati.
La Scoperta della Scultura e l’intitolazione del “Largo Livatino”
Subito dopo la Messa, in P.zza Gallo – da oggi “Largo Beato Rosario Angelo Livatino” – alla presenza della autorità civili e militari e religiose, è stata scoperta la Scultura in bronzo raffigurante il Giudice Rosario Angelo Livatino realizzata da Salvatore Navarra allievo dell’Accademia di Belle Arti Michelangelo di Agrigento e fortemente voluta dall’Amministrazione Miccichè (leggi qui il discorso pronunciato dal sindaco) ed intitolato il “Largo Beato Rosario Livatino”.
L’auspicio è che adesso l’intera piazza possa essere riqualificata con più spazi verdi e meno auto e motocicli e offerta come luogo di vita vissuta e di socializzazione dei cittadini per favorire nuove forme di aggregazione sociale in memoria del Giudice, martire della mafia e delle tante altre vittime di mafia che hanno scritto, con il loro sangue, pagine indelebili di storia ecclesiale e civile nella nostra terra.
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