Processo Livatino: chiusa la fase diocesana (il video della sessione pubblica)

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(foto di Carmelo Petrone)

Con l’apposizione dei sigilli ai plichi che contengono gli atti del processo canonico del giudice Rosario Angelo Livatino, mercoledì 3 ottobre si è  tenuta, nella chiesa Sant’Alfonso di Agrigento  la sessione pubblica di chiusura della fase diocesana del processo di canonizzazione del magistrato, servo di Dio Rosario Angelo Livatino, alla presenza dell’arcivescovo metropolita di Agrigento il  cardinale Francesco Montenegro e di tutti i componenti il tribunale diocesano istituito per l’istruzione del processo e composto dal giudice delegato, can. Lillo Maria Argento, dal promotore di giustizia don Giuseppe Cumbo e dal notaio sig. Gambino Rosario. Presente anche il postulatore della causa nella fase diocesana don Giuseppe Livatino. Il Tribunale si è era insediato il 21 settenbre 2011.

Alla sessione pubblica di chiusura hanno preso parte anche diverse autorità, civili e militari, tra le quali il Prefetto di Agrigento, Dario Caputo. Tanti anche i magistrati ex colleghi di Livatino al Tribunale di Agrigento. Buona la partecipazione di fedeli tra cui un gruppo di Canicattì guidato dal parroco di San Domenico, parrocchia che frequentava il servo di Dio.

Il messaggio del ministro bonafede (leggi) In occasione della sessione pubblica della chiusura del processo, il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, ha fatto pervenire un messaggio (leggi). “La conclusione della fase diocesana – scrive –  del processo del giudice Rosario Livatino rappresenta una buona occasione per ricordare l’impegno al servizio del paese e valorizzarne, soprattutto a beneficio delle nuove generazioni, l’intera sua esistenza dedicata al perseguimento degli ideali di giustizia e legalità. Con la sua storia, professionale e umana, ha incarnato i principi di indipendenza, autonomia di pensiero, integrità morale e senso del dovere che sempre dovrebbero caratterizzare l’operato di un magistrato. La sua lucidità investigativa e il suo rigore etico sono stati esempio e ispirazione per tanti altri giudici trovatisi, dopo di lui, a svolgere la fondamentale opera di contrasto alle organizzazioni criminali. La sua figura costituisce un modello per tutti i cittadini onesti che hanno nella giustizia e nella legalità principi irrinunciabili. La sua testimonianza e il suo sacrificio servano da monito a tutti i rappresentanti delle istituzioni rispetto alla necessità di non abbassare mai la guardia, di non desistere dallo sforzo repressivo, alle organizzazioni criminali che inquinano la vita del nostro paese”.

Dopo la preghiera dell’ora media, presieduta dall’arcivescovo, è stata data lettura di un brano del Servo di Dio, tratto dalla sua Conferenza “Fede e Diritto”.

L’arcivescovo nel suo intervento ha tratteggiato la figura Livatino spiegando le motivazioni che hanno  portato alla istruzione di questo processo di canonizzazione. L’arcivescovo ha ricordato che la sessione pubblica di chiusura si è svolta nel giorno in cui ricorre il genetliaco del giudice Livatino.  “Oggi – ha detto l’arcivescovo Francesco – ricorre il giorno natale del giudice Rosario Livatino, nato – appunto – il 3 ottobre di 66 anni fa e barbaramente ucciso il 21 settembre del 1990 all’età di 38 anni; il 19 luglio del 2011, avendo raccolto diverse testimonianze sulla sua figura e sul suo operato, ho ritenuto opportuno aprire la fase diocesana del processo di beatificazione. Da più parti mi arrivavano segnali sul fatto che la vicenda di questo giovane giudice fosse stata particolarmente segnata dal Vangelo; dando ascolto a un certo sentire comune ho pensato che fosse arrivato il momento di avviare un percorso di conoscenza più attento della sua vita letta con le lenti della santità nel quotidiano”. Oggi, dopo aver raccolto tutto quello che era necessario in termini di testimonianze, ricordi e scritti chiudiamo questa prima tappa e consegniamo il materiale raccolto alla Congregazione per le cause dei santi per l’esame successivo e definitivo.Il lavoro fatto fin qui – ha proseguito –  dice la volontà e l’impegno della nostra chiesa diocesana a individuare, dentro l’impegno umano e professione del giudice Livatino, le tracce di una testimonianza cristiana che lo ha spinto a dare se stesso per la causa della giustizia. Non è stato facile! – ha detto –  Non solo i responsabili del tribunale ecclesiastico e coloro che hanno curato questo lavoro ma un po ‘ tutti abbiamo dovuto affrontare più di un ostacolo mentale alimentato da alcune domande che si potrebbero così riassumere: “è vero, il giudice Livatino è stato ucciso dalla mafia, ma che bisogno c’è di dichiararlo santo? Tanti altri prima di lui e dopo di lui, purtroppo, sono morti per lo stesso motivo. Ha fatto il suo dovere ma perché portarlo agli onori degli altari?” Le parole di San Giovanni Paolo II, che nella visita ad Agrigento di 25 anni fa fu molto toccato dall’incontro con i genitori di Livatino, sono state – ha detto il cardinale –  come una bussola che ci ha condotto fino alla tappa di oggi. Egli affermò che Livatino fu martire della giustizia e, quindi, indirettamente, della fede. Che significa ciò? A mio avviso in quella intuizione il Santo Padre orientava a cercare il motore che aveva mosso Livatino  non solo nella causa della giustizia umana, del valore del diritto e di una condotta retta, ma nella fede cristiana da lui abbracciata sin da bambino. È stata la forza di questa fede l’asse portante della sua vita di operatore della giustizia e, spinto da essa, è stato capace di consumare tutta la sua vita. Questo mi sembra un punto importante, anzi, se vogliamo, quello che fa la differenza.

Avviando la causa di beatificazione di Livatino si è voluto mettere in risalto l’incidenza che ha avuto in lui la forza dell’incontro con il Signore; le indagini svolte fin qui non hanno inteso soffermarsi sul modo in cui è morto ma su come ha vissuto; il nostro obiettivo non è stato quello di capire da chi o per quale ragione sia stato ucciso questo giovanissimo operatore della giustizia ma per chi ha speso tutta la sua vita. Questo è stato il significato del lavoro fatto, potremmo dire, partendo dal basso, dall’ambiente natale dove ha mosso i primi passi a quello del lavoro fino ad avvicinarci a quello delle persone che ne hanno determinato la triste fine. Il filo conduttore nell’ascolto delle diverse testimonianze è stato dato dalla ricerca dello spessore cristiano della vita di Livatino, in grado di giustificare una certa impostazione di vita che lo ha spinto a non risparmiarsi, anzi, a fare della causa nobile della giustizia lo spazio entro cui consumare la propria vita. Probabilmente – ha precisato l’arcivescovo – le difficoltà di cui parlavo prima e certe resistenze diffuse qua e la ci stanno aiutando a rivedere il concetto di santità, superando l’idea che questa appartenga solo alle persone dedicate al sacro o a quanti vivono determinati carismi. In Livatino, come in tanti altri laici portati agli onori degli altari o per i quali è stata avviata la causa di beatificazione – pensiamo a Gianna Beretta Molla, Per Giorgio Frassati, Giorgio La Pira – si rende evidente la chiamata universale alla santità e la logica del lievito o del sale di cui parla Gesù nel Vangelo per indicare il Regno dei cieli, cioè di realtà nascoste ma efficaci, invisibili eppure presenti, poco manifeste ma in grado di fare luce. In questo – ha affermato –  risiede il punto di forza della vita e dell’operato di Livatino. E per questo il suo è stato – secondo il nostro punto di vista – molto di più del semplice adempimento del dovere. La lettura dei suoi scritti, le testimonianze sul suo conto, lo svolgimento del suo lavoro hanno avuta una linfa e una ragion d’essere nell’incontro con Dio che lo stesso giudice ha cercato di tradurre non attraverso gesti eclatanti o parole esplicite ma, appunto, “indirettamente”, cioè impegnandosi a portare il Vangelo dentro ciò che era chiamato a vivere ogni giorno, nella ricerca della giustizia e nel rispetto della dignità di ogni persona. Adesso il materiale raccolto verrà sottoposto al giudizio e all’esame della Congregazione per le cause dei santi affinchè valuti se vi sono tutti gli elementi necessari per proseguire il cammino verso la beatificazione. Di certo – ha proseguito –  il lavoro fatto è utile per almeno due motivi: il primo riguarda il messaggio che arriva al nostro territorio da tutta questa vicenda. Se per decenni siamo stati inquinati dalla mafia e dalla mentalità mafiosa – e in parte continuiamo ad esserlo – la figura del giudice Livatino ci ricorda che la mafia si può vincere solo se ci sarà l’impegno e il coraggio di tutti a dire “no” al compromesso, ai favoritismi; se ci sarà una lotta ferma contro ogni forma di corruzione; se ci sarà la denuncia delle estorsioni, del pizzo, dell’usura, dello spaccio di droghe, di ogni forma di  arricchimento illecito:in definitiva se ci sarà da parte di tutti uno scatto di dignità per il riscatto di questa terra già tristemente penalizzata dalle mafie. Livatino per noi è il simbolo di una società cristiana che si vuole opporre al male e decide di sconfiggerlo con una vita buona animata dalla giustizia e dalla carità. In questo abbiamo ancora tanto da fare in termini di impegno e di formazione delle coscienze; speriamo che assumere il giudice Livatino come modello ci aiuti e ci incoraggi. Il secondo messaggio forte che vorrei ci arrivasse dal martirio di Livatino è quello di una santità da abbracciare nel quotidiano, nel proprio posto di lavoro, nelle cose che si è chiamati a fare. Livatino ci può insegnare che per diventare santi non dobbiamo estraniarci dai nostri impegni ma, piuttosto, dobbiamo sporcarci le mani nelle fatiche quotidiane cercando di mantenere pulito l’abito battesimale. La sua preghiera è stata molto discreta e silenziosa ma, soprattutto, è stata efficace. Si nutriva dell’Eucarestia però aveva capito molto bene che quel sacramento aveva bisogno di prendere corpo nell’adempimento del proprio dovere, nella ricerca della giustizia, nel rispetto di ogni persona. Livatino per noi è espressione di un cristianesimo a tutto tondo fatto di unione con Dio e di servizio all’uomo, di preghiera e di azione, di silenzio contemplativo e di coraggio eroico. Anche questa forma di esempio ci può aiutare a comprendere meglio cosa voglia dire essere cristiani in questo nostro tempo”. Il cardinaleha poi voluto ricordare ai presenti  una  una bella coincidenza: “Proprio oggi – ha detto rivolgendosi in modo particolare ai giovani presenti in Chiesa     iniziano i lavori del Sinodo voluto da Papa Francesco per riflettere su giovani, fede e discernimento vocazionale. Il giudice Livatino – ha affermato –  è stato il giudice più giovane ucciso dalla mafia. Per questa chiesa diocesana e, speriamo per la chiesa universale, Livatino può essere preso come esempio di giovane che ha saputo vivere in modo profondo il rapporto con Dio e in modo appassionato il proprio lavoro e impegno civile. Al giovane Livatino vogliamo affidare i giovani della nostra diocesi in questo momento particolarmente difficile per la mancanza di lavoro e per la perdita di quelle motivazioni che posso fare della vita di ogni giovane un vero capolavoro. Da questi accenni – ha concluso il cardinale – si può intuire che la tappa di oggi non è affatto una tappa conclusiva. Se è vero che si chiude la fase diocesana è anche vero che, probabilmente, proprio da qui dobbiamo ripartire per far conoscere ancora la figura del giudice Livatino e suscitare il desiderio di imitarne l’esempio. Una certa indifferenza sperimentata non più di qualche giorno fa proprio a Canicattì, in un evento pensato per ricordare i giudici Livatino e Saetta, ci dicono quanta fatica ci aspetta. Si fa presto a dimenticare e il clima culturale che respiriamo non è per nulla propenso a soffermarsi su modelli positivi. Di queste difficoltà ne siamo ben consapevoli e, piuttosto che fermarci, ci danno ulteriori spinte per andare avanti”. Il cardinale ha volto, infine, ringraziare pubblicamente tutti coloro che hanno lavorato alla produzione del materiale sarà  consegnato alla Congregazione per la causa dei santi, quanti hanno contribuito con le loro testimonianze scritte e orali, a coloro che nel mondo del cinema e della letteratura si sono prodigati a far conoscere Livatino. Un ringraziamente particolare lo hariservato  alla professoressa Ida Abate, scomparsa poco più di un anno fa, che ha dedicato tanti anni della sua vita alla causa di Livatino parlandone in tantissime scuole e convegni in tutto il territorio nazionale. “A tutti e a ciascuno – ha detto –  il mio grazie sentito… Consegniamo questo lavoro e quello che verrà fatto in seguito – ha concluso –  all’amore misericordioso di Dio; anzi, volendo attingere a uno dei tratti tipici dei giudice Livatino, lo mettiamo “Sotto la tutela di Dio”; sotto il suo sguardo di Padre che continua a indicarci nella giustizia la strada sicura in cui trovare la salvezza”. 

Dopo l’intervento dell’arcivescovo  il giudice delegato ha spiegato che queste sessione pubblica è necessaria per adempiere alcune formalità del processo stesso. Davanti all’arcivescovo, pertanto,  sono stati depositati gli atti originali e le due copie dei transunti (che verranno trasmesse alla congregazione delle Cause dei santi), e dopo che il promotore di giustizia, il giudice delegato e lo stesso Arcivescovo hanno confermato l’integrità del processo, si è data lettura da parte del notaio del verbale di sessio postrema (ultima sessione) che è stata firmata dall’arcivescovo e dai componenti il tribunale. 

Quindi è stato letto lo strumento di chiusura che attesta la fine di questo processo nella fase diocesana e autorizza la trasmissione alla congregazione delle Cause dei santi.

Quindi sono stati apposti i sigilli sia agli atti originali sia alle due copie da trasmettere a Roma. I sigilli sono stati impressi con la ceralacca e il sigillo dell’arcivescovo, il quale alla fine ha ringraziato gli intervenuti per la loro presenza e ha dato la benedizione.  Il giudice delegato ha preso in consegna gli atti originali che saranno conservati nell’archivio della curia diocesana e il notaio ha preso in consegna le copie dei due transunti che presto saranno trasmessi alla congregazione delle Cause dei santi. 

Nel filmato il video integrale della chiusura del processo

 

 

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